Un minuto di silenzio. Vero silenzio. Vuoto attorno alle parole. E poi osservare la foto di Sarah. Viva. E poi interrogarsi, da giornalista, su che cosa avrei fatto io, se fossi stato il cronista depositario di una informazione di prima mano, di fonte sicurissima, che mi dice che quella ragazza, della quale sto osservando la foto, è stata massacrata dallo zio. Ma non solo: dopo morta, sul suo corpo lo zio ha soddisfatto il suo bestiale istinto sessuale. Ecco, ne sono sicuro. Questo “particolare” non lo avrei scritto. Non lo avrei detto ad anima viva. Non lo dico perché adesso è facile pensarlo. In realtà, al momento, non mi pare che se ne sia accorto nessuno. Ma la cosa più fetente e schifosa che è accaduta nelle ultime ore è che il circo barnum dell’informazione si è buttato come un unico branco di sciacalli sul corpo di Sarah, ancora in fondo al pozzo.
Quando ero giovane (ahimé, molti anni orsono) e da cronista mi occupavo anche di cronaca nera (può sembrare strano ma l’ho fatto, e poi sono stato per oltre tre anni capocronista, alle prese quindi con delitti di ogni tipo, classici della provincia italiana anche vent’anni fa) sentivo dire dai miei direttori, e condividevo, che non era indispensabile aggiungere dettagli morbosi alle notizie più crude. Quando una persona è morta ammazzata, è inutile dilungarsi sui particolari macabri. Non aggiungono nulla alla notizia, ma tolgono, spesso, dignità alla persona uccisa, che non può reagire, non può tutelare il proprio decoro, la propria dignità.
C’era il tabu del suicidio, forse è rimasto, ma non sempre, almeno quello. Dei suicidi non si parla in cronaca, perché producono imitazione (si diceva). In realtà ora se ne parla spesso, e proprio quando il rischio è maggiore, ossia quando a togliersi la vita sono adolescenti. Ma questo è un altro discorso. C’entra, perché rientra nella constatazione che il nostro mestiere si sta piegando con incredibile rapidità alle ragioni di un mercato trash, che andrebbe tradotto con un aggettivo volgare. Il titolo di queste ore, sui quotidiani on line, nelle aperture del telegiornali, è tutto concentrato su quel bastardo particolare: la violenza sessuale dopo la morte.
Sarah è stata uccisa due volte, tre volte, innumerevoli volte lo sarà nei prossimi giorni. E già ieri sera la morte annunciata in diretta alla mamma appartiene alla tivù della vergogna, e non c’è giustificazione tecnica di sorta. Ci vorrebbe solo un silenzio generalizzato, un grande cartello di scuse. Ma il peggio doveva ancora venire, ed è venuto. Colpa degli inquirenti, per primi. Chi li ha obbligati a spifferare subito i particolari dell’interrogatorio confessione dello zio di Sarah? Nessuno, credo. Capisco la reazione umana, il disgusto. Immagino come abbiano raccolto questa confessione, dopo ore e ore di domande. La tentazione forte di riempire di schiaffi quell’individuo. E poi fermarsi lì, perché tutori della legalità. E forse in quel momento è maturata la decisione di raccontare subito anche questo macabro dettaglio.
Senza pensare a lei, a Sarah. A quella ragazza che voleva scappare di casa, e avrebbe fatto bene a farlo davvero, invece di dirlo solo. I mostri sono dentro le nostre case, la cronaca ce lo racconta. E invece noi temiamo le strade, i marciapiedi. Ma non è questo il punto che ora mi interessa.. Da giornalista mi interrogo sulla deriva della nostra professione. Non faccio il moralista. Non lo sono. Ma mi vergogno.
Domani i giornali venderanno molto più del solito, e i settimanali stanno rivedendo le tirature. Non perché Sarah è morta. Sarebbe stato solo uno dei tanti delitti in famiglia. Ma per il resto. Per quel particolare in più. Ecco perché mi è venuto in mente De Gregori e il suo Pablo. Sarah è viva, viva, viva…. Una carezza, e un momento di pietas.
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