E’ morta. Ora è tornata improvvisamente, con chiarezza, la dignità della sua persona, e di suo marito. Due lavoratori romeni che, come tanti, cercano di sopravvivere in questa società che sembra impazzita, percorsa da un’aggressività senza precedenti. Maricica era entrata in coma subito, dopo un pugno terribile, sferrato in pieno volto, e ripreso dalle telecamere della metropolitana Anagnina di Roma, qualche giorno fa. Una scena straziante, con i passanti indifferenti, che non si fermano neppure davanti a un corpo insanguinato di una giovane donna distesa a terra. Mentre lui, l’aggressore, riprende le sue cose e si allontana, senza soccorrere la poveretta, senza neppure scappare. Con calma, catatonico, si direbbe.
I giornali titolano subito: “Infermiera in coma per un pugno”. La nazionalità, giustamente, non conta. L’aggressore, subito fermato da un cittadino solerte, è di Roma, ha 21 anni. Una disgrazia, si dirà subito. Che sfortuna, non voleva farle così male, era spaventato (!). Un bravo ragazzo, aggiungeranno ben presto gli amici, ma anche coloro che non lo conoscono, ma che solidarizzano in qualche modo con lui, con il pugile, non con lei, la vittima.
All’origine del loro litigio, verbale, una coda per i biglietti del metro. Ora si scopre che lui avrebbe detto a lei: “Ma nel tuo paese le code non le fai?”. Già, nel tuo paese. In Romania. Come se i romani, notoriamente cittadini di stampo anglosassone, fossero noti, nella loro generalità, per il rispetto delle code negli uffici pubblici. Ma anche questo, in fondo, è uno stereotipo razziale. I romani non esistono, esistono le singole persone, più o meno per bene, più o meno educate. Esattamente come i romeni, o come i lapponi, o come i cinesi, o gli spagnoli. Noi lo sappiamo bene, ma non è affatto scontato.
Poi si scopre che il “bravo ragazzo” (che peraltro non voglio contribuire a criminalizzare, essendo in ogni caso i magistrati a doverne appurare le effettive responsabilità) aveva già dato prova di precisione da boxeur, per una banale lite di “viabilità”, come recitano in genere i verbali di polizia, quando raccontano di liti per futili motivi in strada. Il bravo ragazzo aveva tirato un cartone micidiale a un suo coetaneo, dopo essere sceso dal motorino. Ma siccome è incensurato, ovviamente, la cosa era finita lì, un fascicolo aperto come tanti, in una città come Roma, dove succede ogni giorno ben di peggio.
Solo che adesso quel precedente parla da sé, e cambia lo scenario, in modo sensibile. Eppure ancora adesso la reazione della gente, e dei media, è trasognata, assurda. Ora è il ragazzo, in galera, a essere sfortunato, con una vita rovinata. Lei, Maricica, è morta, ma questo ormai non conta quasi più. Il sindaco ha detto che pagherà i funerali. Bravo, giusto. Basta così.
No, non basta così. Se la scena, che abbiamo visto senza il sonoro, fosse stata la seguente: ragazzo romeno si gira di scatto e schianta con un pugno una giovane infermiera di Testaccio. Ecco, che cosa sarebbe successo? Che seguito avremmo vissuto? I titoli dei giornali come sarebbero stati? E non si dica che questo è il processo alle intenzioni. I precedenti li conosciamo bene, proprio a Roma, con la morte, detestabile, di una donna aggredita e violentata da un balordo romeno, e con la lite in tram, culminata nell’uso della punta di un ombrello da parte di una giovane, se non ricordo male, anche lei romena. In quei casi si scatenò la fine del mondo, titoli per giorni e giorni, proteste, invettive contro tutti gli immigrati. Richiesta di punizioni esemplari.
Ora no, la morte è sempre una tragedia, la somma anche di sfortuna e di fatalità. Ma un pugno ben assestato di un giovane romano ha trovato questo tipo di risposta, e la prudenza dei grandi giornali e telegiornali ha interpretato esattamente lo stato d’animo e il convincimento generale di una opinione pubblica ormai drogata di razzismo e di ignoranza. La pietà umana ci aiuti a riprendere il cammino da dove lo abbiamo interrotto. Come si dice, malamente, in questi casi, che almeno Maricica non sia morta invano.
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