Auguri di fine anno. Anzi, auguri che l’anno finisca presto. Le ultime notizie sono a dir poco inquietanti. A Palermo “scoprono” che su 25 mila contrassegni per la circolazione e la sosta di persone invalide ben 11 mila sono ancora a disposizione di persone che non ne hanno diritto, e fra questi i morti di vecchiaia sono parecchie migliaia. Bravi i vigili che finalmente indagano e denunciano, e dunque la notizia, per certi versi, è buona e positiva. Ma rivela, ancora una volta, uno dei fenomeni più diffusi in questo Paese: ossia il cinico sfruttamento della furbizia, del piccolo privilegio derivante da una certificazione di invalidità civile, spesso inseguita con accanimento, per i propri genitori in età avanzata e non autosufficienti, proprio per poter usufruire di benefici come quello del contrassegno o del posto auto sotto casa.
Il fenomeno è assai più vasto ed endemico di quanto si possa immaginare. Troppo semplicistico dare una versione nordista, con i conseguenti luoghi comuni nei confronti della Sicilia e del Sud in generale, perché basta girare qualche ora per le strade di Milano o nei parcheggi dei centri commerciali per rendersi conto di questa epidemia nazionale di gravi e gravissimi handicap. Handicap che comportano molto spesso il trasformarsi in fantasmi, invisibili nelle autovetture e nei luoghi pubblici, mentre le persone con disabilità vera, che non sono poche ma neppure tantissime, imprecano perché si sentono regolarmente gabbate dai furbi, spesso sfrontati nel loro ordinario abuso. A poco servono le campagne di moralizzazione delle associazioni, perché alla fine prevale la quasi certezza dell’impunità, che si sposa perfettamente con la soddisfazione, tutta italiana, che si prova nel fare i furbi, nelle piccole frodi quotidiane, di questo popolo di inventori della truffa di piccolo cabotaggio, con l’alibi morale che così fan tutti, a partire dal vertice.
Questa ultima notizia, a mio giudizio, si collega strettamente a un dato, assai più significativo e sconvolgente, contenuto nel bilancio sociale 2009 dell’Inps, l’istituto chiamato a erogare pensioni di invalidità e indennità di accompagnamento, e impegnato, come ben sappiamo, in una ferrea campagna di controlli a tappeto, che stanno minando la resistenza anche psicologica di migliaia di famiglie con persone disabili vere, verissime. Ebbene, come ha acutamente notato il sempre attento Carlo Giacobini, responsabile del centro di documentazione legislativa della Uildm, “il73,3% delle indennità – 1.323.709 su 1.804.828 – vengono erogate a persone con più di 65 anni. Per l’esattezza le quote sono: il 49,7 agli ultraottantenni e il 23, 6 a persone fra 65 e 79 anni”. Altro che falsi invalidi. In pratica solo il 26,7 del monte delle indennità di accompagnamento, ossia il beneficio più costoso concesso agli invalidi civili non autosufficienti, va a persone con meno di 65 anni: in pratica solo uno su quattro. Altro che falsi invalidi! Certo, possono esserci anche questi, ma per stanarli gli strumenti, si sa, non sono mai mancati, a livello di polizia giudiziaria e di controlli incrociati, senza dover ricorrere, come si sta facendo, a umilianti visite di controllo a raffica, che si concludono, spesso, con la revoca di pensioni e di indennità del tutto legittime (aprendo la strada poi a migliaia di ricorsi, costosissimi per lo Stato). Il fenomeno, stando ai documenti ufficiali dell’Inps, è esploso negli ultimi anni a causa dell’innalzamento dell’età media della popolazione, degli accertamenti, assolutamente legittimi, di patologie importanti e gravi come ad esempio il morbo di Alzheimer, che hanno comportato, per le commissioni asl, la certificazione di invalidità civile al cento per cento.
Cito ancora Giacobini: “I “costi” per l’invalidità civile sono in larga misura una spesa per i problemi tipici dell’invecchiamento della popolazione fenomeno positivo ma che porta anche alcune necessità assistenziali. Di questo elemento ci si scorda molto spesso, preferendo ricondurre l’immaginario collettivo al prototipo del disabile come bimbo con Sindrome di Down, come ragazzo paraplegico, come adulto cieco. Al contrario, con il conforto degli attuali dati,l’invalido civile più tipico ha più di 80 anni ed è affetto da Alzheimer. Cosa c’è “di male” in tutto questo? Nulla in particolare, ma forse è il momento di disgiungere le voci di spesa ed agire in modo diverso – nell’accertamento, nei requisiti, negli importi, nei servizi – a seconda dell’età e dei bisogni delle persone con disabilità diverse.”
Aggiungo anche questa considerazione: questo “popolo” di nuovi invalidi civili, che non sono “falsi” ma in un certo senso impropri, rispetto a ciò che si intende per condizione di disabilità congenita o acquisita, vive in famiglie nelle quali non si è ancora radicata una cultura corretta dei diritti, dei doveri, dell’attenzione in primo luogo ai bisogni reali e alla qualità della vita della persona con disabilità. Il “nonno” con demenza senile è una persona da assistere, accudire magari con una badante, non un cittadino da far vivere al meglio possibile nel contesto sociale. Perciò le conseguenze, anche collaterali, sono quelle che ci vengono confermate da Palermo: il contrassegno viene usato e abusato, senza pensare che in questo modo si toglie spazio a persone disabili vere, che si spostano in modo autonomo o accompagnate. Ognuno pensa per sé, immaginando un diritto al “risarcimento sociale” per un fenomeno, quello dell’invecchiamento e della non autosufficienza, che è assolutamente naturale e normale, ma che in passato conduceva, quasi sempre, al ricovero in case di riposo.
La spesa per questa fascia di popolazione è destinata a crescere ma non mi pare che ci sia piena consapevolezza di come dovrebbe essere modulata, o cambiata, sia nei criteri di accertamento, che nel tipo di erogazioni e di servizi, sicuramente diversi, ad esempio, rispetto alla richiesta di “vita indipendente” o di assistenza per la non autosufficienza proveniente dal mondo della disabilità fisica, sensoriale, o intellettiva.
Questo 2010 si chiude malamente per la cultura dei diritti delle persone con disabilità. Non basta l’annuncio della nomina di un Osservatorio nazionale a dissipare la sensazione che nessuno si stia seriamente occupando di questo tema, e i media lo confermano ampiamente, avendo ignorato, durante tutto l’anno, le battaglie e le proteste delle persone disabili e dei loro familiari. Il pasticcio della legge di stabilità, del milleproroghe con cinque per mille tagliato e manomesso, dei cento milioni che arriveranno chissà quando ai malati di sla (e solo a loro), l’azzeramento del fondo per la non autosufficienza, la non definizione dei Lea (i livelli essenziali di assistenza), i tagli nei bilanci comunali e regionali, l’arretramento degli inserimenti lavorativi, i controlli a tappeto dell’Inps: un elenco pazzesco di provvedimenti che gettano già una pesante ipoteca morale ed economica sull’anno che verrà.
In queste ore conviene cercare di divertirsi, di stare in buona compagnia, di evitare paura e depressione. Ma quando la gioia di circostanza del Capodanno cederà il passo a un anno da costruire e inventare, allora sarà il momento di tornare a discutere, con serietà, con impegno, con grinta, con tutti gli strumenti della democrazia e della comunicazione, perché un altro anno così, davvero, non ce lo possiamo augurare e neppure permettere. Auguri a tutti, naturalmente…
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