Pensavo, accettando la candidatura alle elezioni per il consiglio comunale di Milano, di contribuire, da cittadino informato sui fatti, a diffondere informazioni, riflessioni, confronto pubblico sui temi della società civile che più mi stanno a cuore e più conosco da vicino. Sono probabilmente un giornalista ingenuo, una persona davvero negata per la politica di professione, insomma, potrei dire: un illuso.
La “par condicio” infatti svuota, nella pratica quotidiana applicazione da parte dei media, la possibilità per i candidati che potremmo definire genericamente “della società civile” (espressione che non amo molto, perché sembra contrapporsi a una “società incivile”, della quale, peraltro, non mancano indizi) di essere protagonisti di momenti di informazione sui temi concreti delle città e delle amministrazioni locali.
Credo che si sommino due elementi entrambi negativi: la pigrizia organizzativa dei media, che di fatto si accontentano di ricevere dalle forze politiche principali l’elenco dei partecipanti ai talk show e ai dibattiti organizzati in queste settimane, e la tendenza delle forze politiche a mandare in televisione soprattutto i cosiddetti “big”, o meglio, quelli, tra i candidati, che si presume siano in grado di reggere in caso di confronto con rissa.
Il risultato di questo “combinato disposto” di una democrazia molto imperfetta è sotto gli occhi di tutti. Quasi sempre solo le stesse facce, con i medesimi insulti, e con una serie di temi che nulla o quasi hanno a che fare con il futuro delle comunità locali. Personalmente non mi preoccupo. Se non sarò eletto in consiglio comunale a Milano la mia vita non potrà che trarne giovamento, perché, in caso contrario, dovrò sicuramente e giustamente impegnarmi per essere all’altezza della fiducia ricevuta da un manipolo di cittadini volenterosi.
Quello che mi dispiace è davvero l’ennesima occasione in larga misura sprecata, per avviare, pubblicamente, un confronto sulle politiche sociali, sui servizi, sui diritti delle persone con disabilità (ad esempio), sugli strumenti più efficaci e praticabili per contrastare l’imminente taglio dei fondi destinati a finanziare i servizi. Potevano essere, secondo me, argomenti interessanti per un largo pubblico di cittadini incerti, confusi, e sempre più lontani dalla politica, considerata come una scelta per arricchirsi e per acquisire potere, e non come un dovere civico al servizio della propria comunità.
Non faccio la vittima, ci mancherebbe altro. Per fortuna esistono altri canali di informazione, il passaparola, il web, gli incontri informali, i dibattiti pubblici, stranamente affollati in questa Milano primaverile. Ma faccio fatica a capire perché i milanesi dovrebbero decidere come votare per il consiglio comunale basandosi su temi di “dibattito” come le Procure eversive, i raid in Libia, l’aborto, il nucleare, e via elencando.
Se fra pochi giorni si scoprirà che i milanesi, nonostante tutto, saranno stati capaci di scegliere con saggezza, individuando, nei diversi schieramenti, anche le persone più adatte e affidabili per governare una metropoli complessa e sicuramente post-ideologica, questo sarà un elemento di riflessione anche per i responsabili, pubblici e privati, dell’informazione, sia di carta che televisiva.
Se invece trionferanno i soliti noti, o i personaggi dell’ultima ora, magari divenuti famosi per intercettazioni con la ‘ndrangheta o per manifesti indecenti, avremo la conferma che il nostro sistema democratico è davvero malato. Perché in questo caso, non dimentichiamolo, i cittadini possono scegliere, possono esprimere un voto responsabile attraverso la preferenza personale. Proprio ciò che manca nelle elezioni per il Parlamento, dove i partiti bloccano le liste, e tutti i moralisti tuonano indignati. Vediamo, adesso, che succede.
Per quanto mi riguarda, la vera “par condicio” che vorrei è quella che riguarda i diritti di cittadinanza di chi è escluso, sistematicamente, da condizioni di partenza uguali a quelle degli altri: nella mobilità, nella salute, nell’abitare, nello studiare, nel divertirsi, nel partecipare, nella cultura. Mi interessa la “par condicio” degli “invisibili”.
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