Politica

Lo strano caso del pass

di Franco Bomprezzi

Beppe Severgnini è uno dei pochi giornalisti che sa cogliere, rapidamente, gli umori degli italiani. Scrive benissimo, ragionamenti rapidi, stile anglosassone, ironia, mai offensivo, ma spesso assai deciso e concreto. Insomma è uno dei pochi veri “opinion makers” , in grado, da solo, di avviare persino una campagna sociale dai toni forti come quella iniziata in questi giorni su corriere.it. Severgnini ha invitato gli italiani, non solo a Milano, a fotografare la targa e il cruscotto anteriore delle vetture che senza avere alcun contrassegno vengono posteggiate negli spazi riservati alle persone disabili. L’iniziativa trae spunto dai molti servizi dedicati questa estate dal Corriere della Sera al fenomeno della sosta e della circolazione abusiva con o senza regolare “pass”.

Conosco bene la questione, dal momento che assieme agli assessori competenti del Comune di Milano, Granelli e Maran, ho cercato, nel mio ruolo di consulente per le politiche sulla disabilità, di inquadrare correttamente la questione, riportandola alla sua sostanza, ossia la necessità da un lato di controlli rigorosi da parte dei vigili urbani, dall’altro di una campagna di sensibilizzazione dei cittadini per evitare il permanere di un diffuso e impunito malcostume, che penalizza certamente le persone a mobilità ridotta, ossia coloro che legittimamente possono utilizzare il contrassegno, varcando i confini della zona a transito limitando, muovendosi sulle corsie preferenziali, sostando negli spazi riservati.

Ho la sensazione che già adesso, senza tanto clamore, un risultato si stia ottenendo, vedo sempre più spesso spazi liberi, anche in posti molto appetibili per coloro che normalmente, fregandosene del senso civico, e non temendo alcuna contravvenzione, occupavano regolarmente i parcheggi riservati. In ogni caso ben venga anche la campagna promossa da Beppe Severgnini, soprattutto perché porta alla  luce, nelle tante lettere pervenute al suo forum, tutte le ipocrisie e i sacri furori degli italiani, che normalmente predicano bene e razzolano male.

C’è chi propone pene pesantissime, chi vorrebbe la galera, la perdita della patente a vita se recidivi, chi si indigna invece per i possibili controlli fiscali, chi si oppone per ragioni di privacy alla diffusione delle foto, chi esprime solidarietà enfatica ai “più sfortunati”, ed è tutto un parlare di “portatori di handicap”, di “veri invalidi”, di furbi e di lestofanti. Insomma consiglio vivamente la lettura di Italians, perché ci fa capire esattamente a che cosa serve, in questo periodo, il tema della disabilità.

Serve a sfogarsi. Serve a individuare almeno un argomento sul quale concentrare lo smarrito senso di educazione civica, di cittadinanza minima collettiva. Serve a individuare un “nemico” da combattere e da esporre al pubblico ludibrio. Ma come si concilia tutto questo con l’esigenza, più volte manifestata anche da me e dai miei affezionati lettori del blog, con una normale e ordinaria difesa dei diritti di cittadinanza delle persone con disabilità?

Ho paura di questa ondata di piena, e vorrei riuscire in parte a orientare questa massa critica di indignati e di censori verso una attenzione, coerente con queste premesse, a tutte le altre, ben più gravi ma meno conclamate, violazioni dei diritti. Penso alla scuola, alla mobilità, al diritto a scegliersi l’abitazione, alla cultura, allo sport, al lavoro, persino agli affetti. Ogni giorno le persone con disabilità vengono discriminate, condizionate, costrette di fatto a ragionare e a comportarsi come cittadini “di serie B”, tanto per continuare nella serie dei “luoghi comuni” e delle frasi fatte.

Non mi pare di cogliere altrettanta indignazione di fronte alle notizie che filtrano con molta fatica relative ai tagli, quasi inevitabili, ai servizi sociali essenziali, dal trasporto all’inclusione scolastica, dalle residenze ai progetti di vita indipendente. Mi rendo conto che ottenere un analogo “sacro fuoco” dell’opinione pubblica è quasi impossibile, perché ormai siamo quasi assuefatti al peggio, e alla logica della sopravvivenza, esattamente il contrario dell’emancipazione e del miglioramento delle condizioni di vita.

Il “pass per invalidi” è dunque uno strano caso, da studiare con attenzione, per i suoi aspetti di comunicazione sociale e politica, per i suoi effetti più o meno effimeri. Da ottimista quale resto, nonostante tutto, ringrazio sempre Beppe Severgnini perché in ogni caso è davvero uno dei pochi che si ricorda, mettendoci la faccia e la penna, di questa parte di umanità. Il tempo ci dirà se saremo stati capaci, tutti insieme, di condurre anche questa battaglia civile nel fiume più ampio e fecondo delle nostre tante e insolute battaglie per i diritti.

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