Sono trascorsi due giorni da quando ho comunicato al sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, la mia decisione di rinunciare all’incarico di consulente sulle politiche per la disabilità. Nessun dissenso politico nella mia scelta, anzi. Esattamente il contrario. Semplicemente senso di responsabilità.
“Mi sono reso conto – gli ho scritto – di non essere assolutamente in grado di adempiere in modo adeguato a un impegno importante, che richiede assiduità, presenza continua, possibilità di intervenire in modo tempestivo e preventivo per seguire da vicino non solo i provvedimenti che più strettamente riguardano le tematiche dei servizi di welfare e alla persona, ma anche, in modo complessivo, l’operato dell’amministrazione civica”. E ho aggiunto: “Il mio ruolo, nella impossibilità personale di svolgerlo in modo adeguato, sia in termini di tempo che di efficacia, è dunque non essenziale, anzi rischia – come già ho potuto constatare – di costituire in qualche misura un punto di riferimento improprio e non operativo rispetto alle decisioni, spesso urgenti, da prendere”.
Finisce qui, dunque, un’avventura iniziata meno di un anno fa, nel luglio scorso. Avevo forse gettato il cuore oltre l’ostacolo, pensando di poter contribuire, in modo volontario e non inserito nella tradizionale forma della struttura politico-amministrativa del Comune, ad affrontare i temi più urgenti legati ai diritti di cittadinanza delle persone con disabilità milanesi partendo dal punto di vista di chi, come me, da tanti anni opera a fianco delle associazioni, e sa quanto sia a volte difficile modificare i meccanismi deliberativi delle istituzioni, non solo per quanto riguarda l’organizzazione e la gestione dei tradizionali servizi di welfare, ma anche per tutto ciò che attiene alle questioni normali della vita, dalla mobilità alla scuola, dal tempo libero allo sport, dal lavoro alla cultura.
Il terreno era e rimane fertile, con una Giunta diversa da quelle espresse tradizionalmente dalla politica, e con un rapporto eccellente sia con il sindaco, Giuliano Pisapia, che con gli assessori, a partire da Pierfrancesco Majorino, l’assessore alle politiche sociali, con il quale, logicamente, ho avuto il maggiore coinvolgimento operativo. Ma sul tema della disabilità, oggi, c’è bisogno di competenze al massimo livello, di capacità amministrativa, di lavoro a tempo pieno, di costruzione di una rete permanente di collaborazioni efficaci e culturalmente adeguate ai tempi che stiamo vivendo. La strada aperta, con l’adozione della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità da parte della Giunta milanese, è quella giusta e sono certo che non sarà abbandonata.
Ma sentivo il bisogno fortissimo di tornare alla mia dimensione umana e professionale, alla mia serenità di giudizio e di interlocuzione con il mondo delle associazioni e di chi opera a fianco delle famiglie e delle persone. Troppe aspettative, tante legittime richieste di intervento, di confronto, di approfondimento, da singoli e da realtà organizzate, sono arrivate a me, al “consulente”. Ho provato su di me una crescente sensazione di inadeguatezza, mi sono reso conto di non riuscire a essere rapidamente efficace. Probabilmente un sentimento comune ai neofiti dell’amministrazione pubblica, convinti che basti volere una cosa per riuscire a realizzarla. Può sembrare una fuga dalle responsabilità, me ne rendo conto. Ma non credo che questo sia vero. Al contrario, trovo che ognuno di noi deve fare al meglio quello che sa fare, quello che può fare. Io sono un giornalista, uso le parole, le idee, le notizie. Metto in comunicazione. Questo, forse, so fare.
E continuerò, come prima, a battermi per quei diritti di cittadinanza che mai come in questo periodo sembrano essere messi in discussione da una dissennata politica di tagli lineari che partono dall’alto e non sono certo responsabilità dei Comuni, prime autentiche vittime della crisi. Spero comunque di aver acceso qualche lampadina mentale, di aver sollecitato una sensibilità nuova, un’attenzione meno episodica a questa parte della città che spesso non si vede, ma esiste e lotta ogni giorno fra difficoltà burocratiche, barriere fisiche e mentali, problemi economici, fragilità vecchie e nuove.
Un’ultima, non secondaria considerazione, rivolta a tutti coloro che spesso pontificano sull’impegno politico. Ho visto da vicino quanto tempo, quanto sacrificio, quanto lavoro oscuro sia necessario per svolgere in modo appena adeguato il compito che gli elettori affidano agli amministratori. Molti di loro, certamente non solo a Milano, sono persone che vivono costantemente sotto pressione, e reggono uno stress in certi momenti quasi insopportabile. E’ troppo facile, e ingiusto, giudicare il loro operato mettendosi soltanto gli occhiali del moralismo e del luogo comune. Ferma restando l’assoluta necessità di garantire onestà e trasparenza, oggi dedicarsi alla politica per il bene comune non è facile, né leggero. Ma è indispensabile.
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