Avviso ai naviganti. Si avvicinano le elezioni di ogni genere. Primarie, regionali, Parlamento. Improvvisamente ci si accorgerà che occorre inserire nelle liste persone “rappresentative della società civile”. In questo vago e indistinto universo, da qualche tempo spicca sicuramente il mondo delle persone con disabilità. La crisi del welfare ha indubbiamente favorito il protagonismo di alcune battaglie per i diritti, e le associazioni di riferimento stanno subendo una sorte simile a quella dei partiti. C’è una forte volontà di rottamazione, di rinnovamento, di affermazione del “nuovo che avanza”. Bene. Mica tanto. Perché temo, nelle prossime settimane, la corsa ad accaparrarsi il candidato disabile, o il disabile candidato, a seconda delle preferenze.
Leggo oggi di una autocandidatura di una donna con disabilità che vorrebbe nientemeno essere in lizza per le fantomatiche primarie del centrodestra, che non è ancora chiaro se si faranno per davvero. Lei si lamenta di essere stata nascosta dai media, e rivolge un forte appello per la raccolta delle diecimila firme necessarie. Si chiama Germana Lancia, e scrive tra l’altro, a sostegno della propria investitura, una frase di questo tipo: “Nella mia campagna elettorale avrei voluto rappresentare le istanze degli anziani dimenticati, dei bambini abbandonati, dei disabili segregati, degli extracomunitari sfruttati, dei disoccupati affamati, dei detenuti violati, per i quali all’orizzonte si profila una qualità di vita ancora più indecorosa. Forse chiedo troppo, forse sembrerò una presuntuosa che da semplice cittadina non ha compreso, o meglio accettato, quale sia il suo posto, ovvero dietro la porta come una una scopa che si nasconde dopo l’utilizzo. Noi gente comune serviamo solo per pagare le tasse e per votare. Sono questi i temi che avrei voluto rappresentare, ma evidentemente non sono stati ritenuti interessanti”. Forse Germana Lancia – non me ne voglia – non si rende conto che il suo problema principale non è davvero la disabilità, ma il senso della misura e delle proporzioni.
In realtà esiste a destra, al centro e anche a sinistra, una questione reale di rappresentanza politica delle persone con disabilità. Il fatto è che questo mondo è sempre stato considerato marginale, da blandire al momento giusto, da gratificare con leggine o provvedimenti di nicchia, da cooptare in ruoli non strategici, da utilizzare più o meno spregiudicatamente in situazioni di grande rilevanza mediatica. Non cito i nomi e neppure gli episodi, affidando a voi lettori l’esercizio di memoria, non difficile, per abbinare a ciascuna delle circostanze che ho elencato i nomi, i cognomi, e le relative brutte figure.
La verità è che in Italia le forze politiche, vecchie e nuove, non hanno ragionato, rispetto al tema delle politiche per le persone con disabilità, in termini di reale competenza e capacità progettuale. Molto spesso le persone che si occupano del sociale, siano essi parlamentari, o consiglieri regionali, o assessori comunali, non conoscono questo mondo se non per sentito dire, o per una attività di volontariato. Nel processo di formazione politica manca proprio la “materia” da studiare. Eppure sappiamo bene quanto bisogno ci sia di competenza, di professionalità, di esperienza. Altrimenti si viaggia sempre per emozioni, per solidarietà o per indifferenza, seguendo l’onda dell’emergenza del momento.
Dietro il mondo delle persone con disabilità invece si muovono interessi forti, spesso di natura immobiliare (realizzazione di residenze socio sanitarie, di centri di cura e riabilitazione, di soggiorni climatici), oppure di forniture protesiche (pannoloni per l’incontinenza, scarpe ortopediche, plantari, carrozzine, elevatori, ausili di ogni genere), oppure più strettamente farmaceutici. Ma non è da poco l’interesse del mondo della cooperazione sociale, delle imprese sociali, delle assicurazioni, delle banche. Molto spesso sono queste lobby, del tutto legittime ma non sempre palesi, a determinare le scelte di bilancio, e persino le priorità nelle azioni politiche. In buona fede molti assessori dedicano i primi cento giorni, e anche di più, ad avvicinare il maggior numero possibile di persone, di enti, di associazioni, per dimostrare loro buona volontà e capacità di “imprimere una svolta”.
E’ la classica “cultura dell’anno zero”. Sembra sempre che si debba ricominciare da capo, come se non esistesse un nutrito gruppo di leggi riformatrici, che basterebbe finanziare e aggiornare, rendendole operative e coerenti con la centralità della persona e con una politica dei diritti che nascono dai bisogni reali dei cittadini. E’ vero che assai raramente sono chiamate a livelli di responsabilità politica le persone direttamente interessate. Ma è anche vero che questo mondo si è spesso rivelato impreparato, quasi non adatto a svolgere un ruolo da protagonisti della politica a tutti i livelli, tra l’altro non necessariamente nel campo strettamente inerente la disabilità.
Un ministro delle finanze come Wolfgang Schauble in Germania da noi è sinceramente impensabile (e forse è meglio così). Ma è degno di nota come all’interno del governo di Angela Merkel una persona paraplegica, in sedia a rotelle, abbia di fatto un potere paragonabile a quello del nostro premier Mario Monti. Questo significa quanto meno che la sua carriera politica prescinde dalla condizione di persona con disabilità.
Temo invece che assisteremo di nuovo alla corsa al candidato, possibilmente abbastanza malmesso dal punto di vista fisico, da inserire nella propaganda elettorale, da portare come esempio di attenzione e di grande apertura culturale e politica. Nasceranno anche liste che vorrebbero trasformare la disabilità in una condizione politica, in categoria, in nome della difesa di interessi comuni. E’ sempre successo, con esiti disastrosi, e accadrà anche stavolta. Si disperderanno energie, si spenderanno denari raccolti fra gli amici, ci sarà il brivido della partecipazione, magari perfino qualche talk show che tanto non si nega quasi a nessuno.
Ma non abbiamo bisogno di questo. Vorrei che ci fosse maggiore rispetto per i diritti reali delle persone disabili e delle loro famiglie. Che si riprendesse il percorso riformatore intrapreso vent’anni fa e forse più. Che si mettesse il tema delle politiche per la disabilità al centro di ogni politica di settore, senza dover rimediare ogni volta agli errori e alle dimenticanze di turno. Ma per far questo occorrono competenze precise, personalità forti e di specchiata onestà. Non necessariamente persone con disabilità. Non credo davvero nelle “quote” di genere o peggio di condizione fisica, sensoriale o mentale. Penso che basterebbe leggere con attenzione e dare seguito a quanto è scritto nella Convenzione Onu, che all’art. 29 impegna gli Stati membri, fra cui l’Italia, affinché le persone con disabilità: “possano effettivamente e pienamente partecipare alla vita politica e pubblica su base di uguaglianza con gli altri, direttamente o attraverso rappresentanti liberamente scelti, compreso il diritto e la possibilità per le persone con disabilità di votare ed essere elette”. Tutto qui.
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