28 novembre. Sono in treno per Roma. Tablet connesso con il wifi eccellente di Italo. Carrozza smart, posto per disabili largo e confortevole. Silenzio, viaggiatori educati, cellulari che non suonano. Sto andando a Roma, partito alle 7.03 da Milano. Puntuale. Arriverò alle 10.25 e farò a tempo a condurre l’evento di lancio di Telethon 2012, al Bambino Gesù, con Luca di Montezemolo, Alberto Fontana, Francesca Pasinelli.
Rivedrò vecchi amici di mille battaglie per sconfiggere le malattie genetiche attraverso la ricerca. Sono un ragazzo fortunato, direbbe Jovanotti. Posso usufruire, anche in sedia a rotelle, del meglio che tecnologia e sistema dei trasporti possono combinare insieme.
Ma ho la certezza che non è così dappertutto, non è così ovunque. Se c’è un simbolo dell’Italia a due velocità è questo. Servizi eccellenti ma non per chi non può permetterselo. Non è certo colpa di Italo, anzi. Si tratta di un primo tentativo di competizione in un mondo vecchio e rappezzato come quello del trasporto ferroviario italiano. Ma penso alle lettere che mi arrivano da chi cerca di salire su un treno regionale, magari per lavoro. E si trova in perenne affanno, di fatto discriminato, espulso dal sistema creato per i camminanti.
Forse la ripresa del nostro Paese, anche produttiva, potrebbe passare da qui, da un ripensamento del sistema in funzione delle pari opportunità per tutti. Ho vissuto una situazione fortemente simbolica delle due velocità di questo Paese. La tentazione forte, ma sbagliata, è quella di rinunciare alle eccellenze e all’innovazione e di puntare tutto sulla rimessa in sesto delle cose ordinarie che non funzionano. Ma il progresso civile, sociale ed economico di un Paese non funziona così. Occorre il coraggio di fare impresa, ricerca e innovazione e al tempo stesso la politica, le istituzioni, gli amministratori, i tecnici, devono trovare risposte effettivamente “democratiche” e inclusive.
Rileggo questi appunti scritti in treno, due giorni fa, e lasciati lì, a sedimentare. La metafora del treno vale anche per la vita delle persone con disabilità. Veniamo da settimane durissime nelle quali l’immagine della disabilità è coincisa, a livello mediatico ed emotivo, con la malattia, con gli effetti della sclerosi laterale amiotrofica. Battaglia sacrosanta, finita con un armistizio, sperando che i patti vengano rispettati e che si cominci davvero a costruire una rete di sicurezza socio assistenziale e anche sanitaria per tutte le persone, non solo i malati di Sla, che vivono in situazione di grave non autosufficienza.
Ma nello stesso momento non dobbiamo dimenticare quei due milioni di cittadini con disabilità meno grave che cercano ogni giorno di vivere al meglio, fra mille difficoltà, rischiando persino di essere considerati alla stregua di “falsi invalidi” o comunque di “privilegiati” perché possono condurre una esistenza “quasi” normale, con una relativa autonomia personale, una certa mobilità, un minimo di risorse economiche, una spolverata di servizi e di ausili, una esile prospettiva di inserimento lavorativo, di svago, di creazione di affetti e di famiglia.
Il clima cupo che respiriamo ovunque, e la sensazione che tutto sia perduto, che ogni iniziativa sia inutile, non riesce a convincermi. Una crisi determinata dall’insensatezza dei mercati finanziari e dall’incapacità di rimettere in discussione seriamente il modello di sviluppo non ci deve piegare al punto da dimenticare l’orgoglio delle battaglie vinte, per le leggi, per i diritti, per i miglioramenti anche tecnologici che abbiamo conquistato con tanta fatica.
Non voglio sentirmi in colpa perché ho viaggiato bene con Italo. Voglio tornare a lottare per i miei sogni. Per i nostri sogni. Francamente a perdere sempre non ci sto.
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