Andatevene a casa. Non siete arrivati a mangiare il panettone e neppure il pandoro. Il tormentone riservato negli anni passati agli allenatori delle squadre di calcio si attaglia perfettamente al Parlamento, che chiude i battenti malamente, senza rimpianti, senza pianti. Dispiace solo per alcuni, i cui nomi sono ben presenti a chi si occupa seriamente di welfare e di diritti, ma che ai più non dicono quasi nulla, perché non hanno mai avuto tempo per andare in televisione, tanto più che nessuno li invitava. Elogio dell’incompetenza, si dovrebbe scrivere. Mai come questa volta la delusione è forte, e l’allontanamento dalla politica attiva assume dimensioni preoccupanti.
Il mondo che conosco meglio, quello della disabilità, non si è neppure preoccupato della profezia dei Maya. Era del tutto indifferente, infatti, rispetto all’ipotesi della fine del mondo. Magari, avrà pensato più di qualcuno. Chi se ne frega, hanno detto quasi tutti gli altri. Perché tanto la fine del mondo è qui, tutti i giorni che Dio mette in terra. Quando cerchi almeno qualche certezza rispetto all’attuazione delle leggi. Quando speri che le promesse “in limine mortis” vengano mantenute, come nel caso degli impegni, sacri, presi davanti alle persone malate di sla cui era stato garantito un finanziamento complessivo per la non autosufficienza di 400 milioni di euro. Promessa bugiarda, e danni contenuti al minimo grazie all’impegno di qualche onorevole del Pd (va detto, proprio per non fare di ogni erba un fascio) e come documenta la Fish siamo arrivati a questa cifra kafkiana di 315 milioni di euro. Meglio di niente, meglio che morire in diretta. Ma una vergogna in più, quando nello stesso momento nella Legge di Stabilità i peones si azzuffano per inserire provvedimenti onerosi salvacasta, di ogni genere.
Il guaio è che ci avviamo verso le elezioni in ordine sparso, moralmente colpiti al cuore dall’inconsistenza dei protagonisti, dall’arroganza di chi vuole riemergere dai fallimenti del passato. Patetiche figure che si riaffacciano e chiedono l’appoggio per rovinare ulteriormente un Paese dalla morale allentata, dai nervi sull’orlo di una crisi da ricovero. La disabilità sale nuovamente sull’astronave, si abbassa la calotta, si indossa il casco e si parte verso l’ignoto.
Bisognerà ricominciare da capo, sapendo già in partenza che le competenze, le risorse, le scelte, le riforme che pure ci vorrebbero, saranno nelle mani di neofiti o di vecchi marpioni, ma nessuno ha la certezza che avremo a che fare con una classe dirigente adeguata alla necessità di autentica rifondazione politica e sociale, che la crisi nella quale siamo immersi richiederebbe come non mai.
Una nuova seria classificazione dell’invalidità, il ripensamento della legge sull’inserimento lavorativo (che è franato sotto i colpi della crisi), una nuova attenzione alla sostenibilità urbanistica e progettuale, che tenga conto del diritto di tutti alla mobilità e alla libera scelta della propria esistenza; il rilancio dell’inclusione scolastica, messa a dura prova dai tagli della spending review; la definizione di norme serie per i caregivers, parola inglese dietro la quale si cela la vita di familiari sospesi tra lavoro e cura domiciliare; il ripensamento della fornitura di ausili tecnologici in funzione della profonda modifica in atto nella produzione di software e di applicazioni per tutti; la promozione dello sport non solo agonistico; un adeguamento delle pensioni e delle indennità; la conclusione della vessatoria e infinitamente costosa campagna di controllo affidata all’Inps (quando le false invalidità, come si capisce dalle cronache, sono scovate da polizia e carabinieri). Chi si occuperà di tutto questo? Lo sapremo vivendo. Assisteremo alle convulsioni della politica, non troveremo traccia di questi temi nei programmi elettorali, se non sotto forma di generica attenzione “alle fasce deboli”.
Cercheranno, più o meno tutti, il testimonial, il candidato ad effetto, per rastrellare ancora una volta voti in buona fede in cambio di nulla. Ma noi saremo ancora qui a tenere botta. Perché la rete è forte e solidale, e ormai sappiamo tutti distinguere le furbizie dalla coerenza e dalla serietà. Ce la faremo. Ma forse mai come adesso occorre avere le antenne dritte, e scorgere con attenzione i tentativi di utilizzare lo scontento per orientarlo verso vecchi o nuovi guru del consenso. Un consiglio, l’unico, che mi sento di dare ai compagni di sventura esistenziale è quello di ascoltare se stessi, e di mantenere dignità e orgoglio, consapevolezza dei diritti, forza morale. Solo così vinceremo, prima o poi.
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