Travolti da un insolito destino, ma non c’è neppure l’azzurro mare di agosto. Ora un pallido sole marzolino ci intiepidisce e ci rassicura, la primavera arriverà anche quest’anno. Ma non siamo tranquilli, per niente. Stiamo vivendo sotto attacco. Persino coloro che hanno condiviso l’assalto al palazzo del movimento guidato da Grillo e Casaleggio stanno rifiatando, cercano di mettere ordine alle idee, di organizzare un pensiero meno basico dell’insulto o dello sberleffo nei confronti della casta. Tutti gli altri, me compreso, oscillano in questi giorni tra cupi pensieri, curiosità legittima per il nuovo che comunque irrompe e avanza, desiderio di non vanificare anni di relazioni umane, sociali e politiche attorno a valori, azioni, risultati raggiunti, che ora sembrano messi in discussione, e non soltanto dalla crisi dei mercati finanziari.
Lascio da parte i triti argomenti pseudo politici sulla qualità degli eletti, sulla loro cultura politica, sul programma, sulla possibilità di realizzare una maggioranza che almeno per qualche mese ci consenta un governo del Paese. E’ presto per scommettere su qualsiasi ipotesi, e in ogni caso mi interessa assai poco, non potendo farci nulla, se non assistere e dire la mia a suon di battute sui social network, suscitando spesso l’ira funesta di chi – a dire il vero – sta dimostrando assai poco spirito umoristico, pur avendo un capo che della battuta istrionica è sicuramente un maestro indiscutibile.
Il punto che mi sta a cuore è lo stato di oblìo nel quale rischia di finire un intero mondo di relazioni e di tematiche legate al welfare e ai diritti di cittadinanza, alle leggi che ne regolano l’attuazione, per non parlare della sussidiarietà, del rapporto fra reti di solidarietà, fra mondo della cooperazione e associazionismo, fra cittadini ed enti locali, fra bisogni e diritti. La cultura dell’anno zero è dietro l’angolo. La sensazione diffusa è che nulla si possa oggi dare per scontato, come se fossimo in presenza degli effetti di una bomba al neutrone, che lascia in piedi le pareti ma annienta le persone e la loro storia politica e umana.
Forse sarà sufficiente attendere che il polverone si diradi, o forse no. Ma adesso è più chiaro perché in molti – me compreso – avevamo deciso, con alterni risultati, di mettere la nostra faccia e la nostra credibilità in questa competizione politica così rischiosa. E’ stato un azzardo determinato dalla paura, assai fondata, che i temi che ci stanno a cuore sarebbero scomparsi rapidamente nel nulla. Io non amo i profeti di sventura, e preferisco immaginare improvvise accelerazioni di politiche sociali di taglio nuovo, magari più attente al reperimento di risorse nuove e aggiuntive da mettere in campo, senza contare l’importanza di un collegamento più stretto con le tematiche della sostenibilità ambientale, che dovrebbero comunque orientare qualsiasi governo che voglia dare alla parola “ripresa” un senso compiuto, non legato cioè alla riproposizione di modelli fallimentari di sviluppo industriale e persino terziario.
Ma adesso, in questo momento di sospensione spazio-temporale della politica tradizionale, forse dovremmo rimboccarci le maniche e rifondare le ragioni della nostra cittadinanza sociale, senza tentativi goffi di ingraziarci i nuovi venuti, che poi non sono altro che cittadini risucchiati dal web e gettati sulla ribalta della politica quasi a loro insaputa, e che dunque hanno il diritto, almeno per qualche settimana, di essere rispettati nella loro fase di entusiasmo e di euforia.
Il problema siamo forse noi, convinti sempre di avere una risposta corretta, competente, ordinata, regolata e gerarchica, ma incapaci di mettere in discussione con franchezza un meccanismo, quello del welfare, che forse è persino più obsoleto e zoppicante dei partiti tradizionali, basato com’è sul criterio principe della cooptazione degli ottimati al comando, senza reale partecipazione, ma solo con un simulacro di democrazia formale. Non c’è più tempo. E’ il momento di fare un vero reset. Partecipazione, senso di responsabilità, sacrificio, onestà e lavoro: sono questi i requisiti fondamentali di chi opera nel sociale puntando al “bene comune”. Che almeno si possa ripartire da qui. Con umiltà e senso della misura.
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