Ho letto con attenzione le riflessioni contenute nell’editoriale domenicale di Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera, “La sindrome della nostalgia”. Come spesso accade, nella foga iconoclasta, i grandi opinionisti esagerano un po’, forti del loro ruolo di abitanti dell’Iperuranio, dal quale osservano le vicende umane con saggezza e acume senza pari. Ma qualcosa di vero, e di impietoso, nell’analisi della sinistra borghese e benpensante del nostro Paese, c’è eccome. Soprattutto quella sottolineatura dell’incapacità, oggi, di leggere correttamente i bisogni e le urgenze di chi sta pagando gli effetti di una crisi lunghissima ed estenuante.
E mi convince anche la sua lettura dell’atteggiamento di Matteo Renzi, che risponde al populismo con ricette che non sono di destra, ma appartengono quanto meno alla cultura della solidarietà e della moralità pubblica. Il conservatorismo delle alte gerarchie dei burocrati (che non va confuso tout court con i lavoratori del settore pubblico, spesso vittime di un sistema che non ne valorizza le capacità e le competenze) sta cercando infatti di inceppare ogni segnale politico di cambiamento, e la battaglia di questi giorni, magari un po’ retorica e altisonante, ma è sacrosanta e condivisa in modo trasversale, da destra a sinistra.
Quello che mi preoccupa non è l’analisi. Sono invece spaventato dall’ondata di populismo privo di razionalità, che si basa in buona misura sulla cultura dei “no”, e soprattutto sulla tutela della rabbia individuale. Ogni cittadino che si sente impoverito, incompreso, abbandonato a se stesso, trova motivi di rivalsa nei proclami che vengono urlati nelle piazze e sul web da Grillo o da Salvini o da tutti e due, con l’aggiunta di una parte di seguaci di Berlusconi, che sgomitano per guadagnarsi un futuro prima dell’irreparabile. In tutto questo vociare infatti mi pare che manchi il collante di una politica sociale degna di questo nome. La campagna antieuropeista è di sicura presa popolare, basta guardarsi in giro. E persino la raccolta di firme per togliere le prostitute dalle strade ha una forza basata sull’evidenza di una situazione mai affrontata in termini corretti e seri. Ma tutte queste proposte cariche di demagogia e di rifiuto del welfare statalista rischiano di attecchire e di favorire un nuovo blocco sociale, sostanzialmente reazionario (se possiamo usare parole desuete senza essere accusati di nostalgia).
Osservo con stupore ad esempio la tendenza a liquidare il tema della disabilità in termini di lotta ai furbi e ai profittatori, senza curarsi affatto delle condizioni reali di vita, e dei servizi che concretamente oggi gli enti locali, privi di soldi ma pieni di responsabilità pubbliche, sono in grado di assicurare in presenza di ulteriori e pesanti tagli alla spesa. E in generale sul welfare si assiste a un “cupio dissolvi” generico e ignorante, all’interno del quale il terzo settore, il volontariato, il mondo della cooperazione sociale, ma anche gli operatori pubblici e privati che vivono accanto alle persone e alle famiglie, faticano a vedere un futuro di speranza.
Dobbiamo forse riscoprire con forza la parola “solidarietà”. La rete umana, lo sguardo sul vicino di casa, sulla persona che ha scelto il nostro Paese per lavorare e non per delinquere (e sono la stragrande maggioranza). Il piano del governo Renzi, anche secondo me, è quasi un’ultima spiaggia di resistenza civile, e quella parte di sinistra che con qualche ragione storce il naso sul metodo e su alcuni aspetti di dirigismo inusuale (specie in un Pd abituato alle mediazioni estenuanti e spesso ipocrite) dovrebbe interrogarsi maggiormente sul senso autentico della politica al servizio dei cittadini.
Forse anche per questo, da tempo, ho scelto con serenità l’impegno sulle cose, nella rete, con le persone che stimo e con le quali condivido sia la comunicazione che il fare. Anche questo, oggi, è politica. Non dobbiamo mai rassegnarci. Restiamo umani.
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