Esco per un attimo dal terreno che frequento maggiormente, anche in questo blog. E mi associo ai tanti appelli che dalle pagine di Vita cercano (con crescente e meritato successo) di arginare un fenomeno mostruoso, soprattutto nel nostro Paese, ovvero la diffusione dell’azzardo legalizzato, in tutte le forme possibili. Non lo chiamo “gioco”, perché è proprio qui l’inganno delle parole, il trucco perverso che spinge tante persone semplici a tentare la fortuna, immaginando che non si tratti di niente di speciale, solamente – appunto – un “gioco”, che si abbina alla speranza di un riscatto economico, di un improvviso rovesciamento delle sorti della propria fragile esistenza.
Non passa giorno che Simone Feder non segnali iniziative e non porti l’attenzione, nel blog di Vita.it ma anche attraverso i social network, sui tentativi di apertura di nuove sale che comunque non rispettano neppure i criteri previsti dalle recenti norme (distanza dai luoghi sensibili). Mi pare di aver visto, almeno in Lombardia, una risposta attenta e forte sia a livello della Regione che in molti Comuni, compreso Milano. Ma la sensazione è che si tratti di una guerra di trincea, condotta con pochi mezzi e resa ancor più difficile dallo strapotere mediatico della pubblicità connessa alla promozione delle scommesse.
Testimonial di grande popolarità (ci mancava anche Totti) propongono in modo ipocrita e farisaico un uso non smodato delle scommesse, ma la sostanza è chiara: è un invito generalizzato a spendere i propri risparmi tentando la sorte, e cominciando magari con un comportamento che vagamente ricorda l’antico rito della schedina. Ma i tempi del Totocalcio da due colonne, o da sistemino con gli amici al bar, sono morti e sepolti. Ora si comincia con una piccola scommessa e poi si continua a grattare freneticamente, e poi si passa alla slot machine, senza soluzione di continuità.
C’è un nesso forte con la disabilità, tema che seguo con maggiore competenza (anche perché mi riguarda direttamente): paradossalmente le sale gioco sono i locali più accessibili del mondo. Mai un gradino all’ingresso, mai una porta stretta. Tutto è concepito in modo tale da consentire a chiunque, non vedenti compresi, la pratica della scommessa e del cosiddetto “gioco”. Non esistono statistiche in materia, ma non credo di sbagliare se immagino molti genitori, magari anziani, alle prese con problemi di economia familiare (quando c’è un figlio disabile i soldi non bastano mai) tentati da questa malattia che si presenta in modo apparentemente innocuo e amichevole. Ma penso che il fenomeno tocchi (non so quanto di striscio) persone con fragilità emotiva e intellettiva, più esposti alle suggestioni, più indifesi degli altri.
Non c’è calcolo utilitaristico che tenga. Su questo punto non si può essere morbidi o pronti alla mediazione, magari per incamerare grandi cifre di denaro da investire nel bilancio pubblico (quasi una pseudo giustificazione morale, in stile Robin Hood). Questo è un modello di comunicazione di valori sbagliati che va solo bloccato, frenato, interrotto. In modo duro e chiaro. E la battaglia del movimento “no slot” deve contagiare tutti, e non essere vissuta come una iniziativa circoscritta, o moralistica. Questa è l’unica scommessa da vincere. Tutti insieme.
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