Famiglia

Genitori, precari

di Benedetta Verrini

Ma quanti amici – tutti in gamba, permettetemi di dirlo – devo vedere che perdono il lavoro? E quante persone della mia generazione, alla soglia dei quarant’anni, stanno scivolando fuori dal mercato, dalla normalità, da quelle certezze che fino a ieri sembravano incrollabili?

E’ un bagno di sangue, una specie di contagio silenzioso che colpisce il ceto medio nella fase più attiva della vita, quando la carriera dovrebbe essersi ormai stabilizzata e l’avventura di essere genitori è appena cominciata.

Invece il tir della crisi li ha travolti -ci sta travolgendo- tutti. Appena tre anni fa potevamo credere che non ci riguardasse. Invece oggi, per andare avanti, molti giovani madri e padri devono chiedere un umiliante puntello alle rispettive famiglie.

So bene cos’è questa precarietà. Provo a raccontarvela.

Precarietà è un contratto a progetto che scade, ieri c’era e oggi non c’è più.

Precarietà è lavorare in una cooperativa, credere fermamente in quella componente valoriale che la rende così speciale, poi al primo problema – malattia, infortunio- vedersi chiudere la porta in faccia. Sorry, quei valori non parlavano mica di te.

Precarietà è accettare un lavoro a turni notturni che dista chilometri da casa, ben consapevole che non vedrai più i tuoi bambini.

Precarietà è accettare lavori che vengono pagati con mesi e mesi di ritardo.

Precarietà è non poter accedere a servizi pubblici per l’infanzia, essere esclusi dalle graduatorie dei nidi e dover così trasferire il tuo stipendio a un asilo privato o una babysitter.

Precarietà è vedersi negare le ore di sostegno scolastico per il tuo amato bambino fragile.

Precarietà è anche rinunciare alla scuola che sogni per i tuoi figli, perché qualcuno ha deciso di trasformare la libertà di scelta educativa in una barricata ideologica.

Precarietà è dipendere dai nonni, in termini di tempo e di denaro, per poter crescere i tuoi figli.

Precarietà è non comprarsi più niente di bello, non uscire a cena, non fare più vacanza.

Precarietà è desiderare un altro figlio e non poterlo fare.

Precarietà è essere padre e non dormire alla notte, pensando che tra due anni la tua azienda potrebbe essere chiusa. E tu, senza lavoro, dentro la mezza età.

Precarietà è rientrare da una maternità e vedersi rottamata.

Precarietà è essere madri single e avere sulle spalle il carico titanico dell’educazione e della cura quotidiana dei bambini, ben coscienti che il lavoro che si ha non si può perdere, per nessun motivo.

Precarietà è sapere che siamo l’ultima generazione che potrà godere di una qualche eredità dai nostri genitori, un piccolo capitale o una casa di proprietà.

Perché – quando anche non saremo un peso – noi non potremo lasciare nulla ai nostri figli. E questa consapevolezza, mi dispiace dirlo, ci rende ancora più poveri.

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