Famiglia

L’asilo nido è un diritto o un lusso?

di Benedetta Verrini

Il comune di Sesto San Giovanni ha rivisto le rette dei nidi pubblici e le ha portate a 628 euro al mese (676 per i piccoli che restano fino alle 18).

Gli aumenti, che vanno di pari passo con analoghe scelte relative alle mense scolastiche (sempre a Sesto se uno ha due figli frequentanti materne o elementari, per esempio, paga 10 euro al giorno, 200 euro al mese), stanno suscitando numerose polemiche.

Ho condiviso la notizia con molti amici e ho scoperto che, a parte il record negativo della mia città, anche altri comuni non scherzano: dalla Lombardia alla Toscana una famiglia spende dai 400 ai 500 euro al mese per usufruire del servizio di asilo nido comunale.

Sono in tanti a ritrovarsi nella “fascia alta” dell’Isee, pur non essendo esattamente ricchi: spesso basta avere una casa di proprietà non gravata da mutui (è certamente un reddito ma a fine mese non ti mangi le piastrelle…) e due stipendi (che poi è il motivo per cui mandi il bambino al nido: sia tu sia tuo marito andate a lavorare).

Ora, mi domando, come succede che pur pagando le tasse per la casa e pagando le tasse sullo stipendio – tasse che dovrebbero (anche) andare a sostenere il sistema di welfare – molte famiglie devono nuovamente pagare per accedere a quello stesso welfare?

“Il nido è un lusso”, mi scrive una cara amica. E’ una frase amara, ma molto vera. Le ultime indagini dell’Istituto degli Innocenti di Firenze hanno messo in luce una progressiva “sofferenza” delle famiglie rispetto all’accesso al nido.

Due esempi:

-il 16,3% delle famiglie del Nord ammesse alle graduatorie, dunque con pieno diritto al posto, decidono di rinunciare quando si rendono conto dell’ammontare della retta;

-nel Centro-Nord più di un bambino su 10 frequenta il nido ma la sua famiglia non paga la retta. La morosità delle famiglie italiane rispetto al nido è cresciuta del 30,8% negli ultimi due anni.

Ma è giusto che l’asilo nido, invece che un servizio -non dico essenziale- ma certamente strategico per il futuro del paese, per il rilancio dell’occupazione femminile e per la “tenuta” delle famiglie diventi “lusso”? E cos’altro diventerà “lusso”, in un prossimo futuro?

Cosa si deve pensare di amministrazioni che fanno ricadere la sostenibilità del sistema sulle famiglie che -ancora, per poco- ce la fanno, sovrapponendo le tariffe a quelle dei nidi privati?

A conclusione di un articolo sulla rivista “Bambini”, Aldo Fortunati, direttore dell’area educativa dell’Istituto degli Innocenti (e forse il più grande esperto della materia in Italia) già qualche mese fa ha posto una serie di riflessioni fondamentali rispetto alla possibilità di costruire un futuro veramente accogliente per le nuove generazioni. Non posso che condividerle:

-chi detiene le risorse derivanti dalla fiscalità generale deve interpretare gli interessi generali

fra gli interessi generali devono necessariamente essercene alcuni che riguardano i bambini e il loro diritto all’educazione

-questo diritto all’educazione richiede una definizione delle condizioni e della misura della sua esigibilità

-solo quando la politica comincerà a decidere cosa è bene prima di individuare chi lo possa realizzare ci saranno le condizioni corrette per sviluppare un buon sistema di opportunità per i bambini e le famiglie.

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