Anche per il consumatore responsabile, o se vogliamo etico, il punto di partenza è la consapevolezza: che la sua azione conta, che la csr lo riguarda. Ma anche che non è solo e anzi la portata del suo contributo viene esaltata quando si combina col contributo degli altri attori in gioco.
Ad esempio le istituzioni. In una fase storica in cui le istituzioni sono criticate in Italia come in mezzo mondo (e i motivi per criticarle ci sono eccome, sia ben chiaro), è bene però non fare di ogni erba un fascio. Il che significa che è opportuno mettere in evidenza chi sta facendo cosa, cioè chi si sta spendendo per la causa della csr in ordine alla realizzazione di un’economia più sostenibile, equa, solidale, socialmente e ambientalmente acettabile. E su quali progetti.
Si può fare di più e meglio di quello che si sta facendo? Certo, sempre si deve fare di più e meglio e siamo solo all’inizio del cammino. Ma intanto è bene sapere cosa si sta facendo e da parte di chi: la consapevolezza si costruisce anche, se non soprattutto, a partire dalla condivisione delle informazioni.
Negli ultimi tempi uno dei progetti di cui sono venuto a conoscenza e che mi hanno più colpito è stato l’avvio della sperimentazione da parte delle Regione Liguria del Registro dei datori di lavoro socialmente responsabili. Se ne può leggere direttamente sul sito di Regione Liguria, anche digitando il nome di dominio www.responsabilitasocialeinliguria.it.
Di che si tratta? È un tentativo per creare consapevolezza sui temi della csr sia nelle imprese, sia nelle organizzazioni pubbliche. Per invitarle a un impegno in questo senso. E per dare visibilità a chi in quest’ambito si distingue. Cosa assolutamente fondamentale, quest’ultima, affinché si produca quel market reward della csr che anche la strategia 2011-2014 della Ue per la csr (par. 4.4, pag. 10 del documento) mette fra i principali elementi su cui c’è bisogno di lavorare (e di cui c’è ancora grande carenza) per fare della csr un fattore di sistema e di competitività. Se ci si pensa, sapere che un’organizzazione è iscritta a un registro di datori di lavoro socialmente responsabili (la verifica dei requisiti che danno diritto a restare nel registro sarà periodicamente ripetuta, ogni anno), è un’informazione non di poco conto: per chi è in affari con quell’organizzazione, ad esempio, o per chi ci lavora o vorrebbe lavorarci. L’attrazione dei talenti sensibili ai temi della csr, tra l’altro, è un altro enorme tema che questo progetto va a toccare.
L’articolazione del progetto e la sua tempistica sono ampiamente descritte nel materiale disponibile sul sito, per cui non mi dilungo a ripetere queste informazioni (e poi sulla Rete non si duplica, se possibile: vecchia regola dei tempi d’oro di internet che vien sempre buona!). Mi limito a indicare queste slide e questo depliant che sintetizzano bene tutto il progetto. Sottolineo, però, due aspetti che mi paiono di grande importanza perché capaci di esprimere una visione.
Primo. Il progetto è rivolto sia ai privati, sia agli enti pubblici. Messaggio: la csr riguarda tutti, non è affare delle imprese e basta (già detto in questo blog, ancora lo diremo, e ancora e ancora).
Secondo. Non si tratta di un semplice elenco ma di un registro-percorso: chi lo vuole sperimentare si deve cioè mettere nell’ordine d’idee che è una strada con un inizio ma senza una fine. Nel senso che non esistono imprese che diventano responsabili una volta per tutte, non è una medaglia vinta ai giochi olimpici che si può tenere per sempre in bella vista in salotto; esistono imprese (più in generale organizzazioni) che accettano continuamente di imparare, di mettersi in discussione, di confrontarsi, e altre che non lo accettano, incapaci di questa apertura e quindi di evoluzione responsabile.
Ultima cosa. Non è da sottovalutare il fatto che il progetto sia stato intitolato ai “datori di lavoro”, non genericamente alle imprese, o agli enti pubblici, come accade il più delle volte: le organizzazioni senza le persone, infatti, non sono nulla. Rivolgendosi ai datori di lavoro si fa capire che la csr può certamente dipendere anche dallo stakeholder lavoratori, da come cioè essi riescono a integrarla nel lavoro quotidiano, ma dipende soprattutto da chi nelle organizzazioni ha le responsabilità d’indirizzo strategico e gestionali.
Anche questo è OccupyCsr: parlare di responsabilità sociale in capo alle persone. E in capo ad alcune più che ad altre.
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