Le parole del titolo sono di un manager di una importante società sportiva. Me le ha dette tempo fa, in una chiacchierata a margine di un incontro su responsabilità sociale, economia sociale e dintorni. Un bell’incontro. Discutevamo di come su questi argomenti le aziende possono comunicare o, meglio, semplicemente far sapere quello che fanno. Come lo fanno. E soprattutto perché lo fanno.
Io elucubravo. Mi lanciavo un po’ sui massimi sistemi, cercavo di attingere alla mia ormai abbastanza lunga esperienza per dimostrare che la ricetta non ce l’ha nessuno. Sotto sotto, ripensandoci, mi sa che cercavo di colpirlo, anche se la conversazione era molto sciolta, quasi familiare con un po’ di sorpresa (mia, non so se anche sua) dato che non è che avessimo avuto mai modo prima di parlarci. Ma sentivo che mi metteva molto a mio agio.
È lì che se n’è uscito con queste parole. Semplici. Asciutte, direi. Accompagnate da una pausa non breve, dopo, spontanea. E da uno sguardo che le confermava in modo pacato, fermo, senza incertezze. Come dire: fidati, è esattamente così che accadeva.
Beh, è lui che mi ha colpito. E sono convinto che non aveva nessuna intenzione di farlo. Probabilmente era una cosa scontata, per lui, quella che mi aveva appena detto. Invece a me resterà impressa per sempre. Mi hanno colpito le parole, certo. Ma anche il linguaggio non verbale che le ha accompagnate. Anzi, forse questo di più. Ma qui voglio provare a dire una cosa su quelle parole.
Sono le parole di una persona che nel suo contesto professionale è senza alcun dubbio un pioniere della sostenibilità. Forse anche un visionario. Sicuramente uno che ci crede fermamente e non ha paura delle difficoltà che ad altri paiono magari insormontabili. Una persona che, mi pare, vede in modo nitido i grandi obiettivi da raggiungere e li vede tranquillamente alla portata, cioè che si può fare. Ma si accontenta dei piccoli passi, purché siano sempre in avanti. Uno dopo l’altro, senza mai stancarsi. E nella stessa direzione, quella del miglioramento.
In seguito ho avuto modo (e la fortuna, direi) di incontrare ancora quella persona, di parlarci un po’ qualche volta, di ascoltarla. E di vederla all’opera, soprattutto. Beh, c’è quell’espressione inglese che dice “walk the talk”, cioè che la sfida vera è che bisogna fare quello che si dice, insomma che se si predica bene e si razzola male non si è credibili, né tanto meno autorevoli. Direi che nel suo caso si potrebbe capovolgere: è uno che “talk the walk”, che racconta quello che fa, non una cosa di meno, non una cosa di più. Semplice. Ma con tanta passione, quasi trabocca. Evidentemente l’esempio ricevuto dai genitori è rimasto, è diventato modo di essere. E ora è lui a trasmetterlo agli altri. Già, l’esempio…
L’esempio parla. L’esempio è chiaro. Efficace. Arriva. Comunica. Di più: insegna. Ancora di più: suscita emulazione. Non in tutti, magari. Ma in tanti sì. In quelli che sono disposti e desiderano e hanno gli occhi per ascoltare.
Da quando la csr è diventata mainstream, c’è la questione non risolta di come si fa a comunicarla in modo efficace. E chissà se mai qualcuno la risolverà. Ma forse è sbagliato porsi la questione del comunicare. O almeno dargli tutta questa importanza, come io per primo ho fatto n-mila volte e probabilmente farò ancora. Voglio dire che dovremmo parlare meno di comunicazione. Di strumenti, tecniche, media e via discorrendo. E di più, molto di più, di esempio.
Sempre più aziende si cimentano coi bilanci sociali o di sostenibilità ed è positivo, non c’è che dire. C’è “fame” di più informazioni e indicatori e dati Esg (sociali, ambientali e di governance) da parte di chi li deve offrire e da parte di chi li domanda e anche questo, ci mancherebbe altro, è incoraggiante. Si esplorano i social media per comunicare la csr in modo inusuale, creativo, in realtime, friendly e easy e via discorrendo e figurarsi se non fa piacere a un Twitter-aholic come me.
Ma il punto vero è l’esempio. La csr è fondamentale per me (azienda)? Ok, allora devo dare l’esempio. Il resto viene dopo. Tutto il resto.
Devo capire che ogni scelta dà l’esempio, quella più piccola, operativa, quotidiana come quella più macro, strategica, rivolta al futuro, che sia effettuata da chi ha le leve per decidere di tutti o da chi può decidere al massimo solo per sé stesso. A volte, addirittura, più paiono insignificanti, di routine, e più scelte e atti parlano. Perché danno l’esempio.
Anche i prodotti parlano. I prodotti sono i primi ambasciatori di un’azienda. Di quello che è, fa, di come lo fa e del perché lo fa. Raccontano in modo semplice e concreto e senza troppa enfasi la storia dell’azienda, perché alla fine restano “nudi” di fronte a chi li acquista, utilizza e decide se riacquistarli o meno e se consigliarli o meno. I prodotti, così, danno l’esempio.
I collaboratori, le persone di un’azienda danno l’esempio. Col modo in cui fanno il loro lavoro ogni giorno e si relazionano e trattano con gli altri, dentro e fuori l’azienda. Dimostrando, o meno, la consapevolezza che un semplice gesto, specie se sbagliato, può dire più di tanti bilanci sociali anche sinceri e ben fatti o di tante certificazioni pur ottenute con merito.
C’è bisogno di più comunicazione non verbale, autentica, nella comunicazione della csr.
C’è bisogno di più esempio. E di parlare poco, come quei genitori.
Già ho scritto troppe parole. Volevo scriverne meno. Non ho dato un buon esempio e la prossima volta devo far meglio. Per cui, ora, stop.
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