In una giornata in cui, ancora una volta, tutte le capitali mondiali fremono per le attese controverse dell’esito dell’ennesimo Vertice dell’Eurozona, chiamato a fare ulteriori scelte importante per spegnere l’incendio che divampa in Europa, in presenza di una quasi dichiarata bancarotta di una principali economie del continente – la Spagna – credo di dover evidenziare l’urgenza che si rimetta al centro dell’agenda europea la questione della povertà.
Essa è una questione che, clamorosamente, da troppo tempo è assente dall’agenda e si fa fatica a trovare traccia della parola stessa nella quasi totalità dei comunicati finali dei vertici europei degli ultimi tempi. Eppure, stando ai più recenti dati di Eurostat, nei 27 paesi dell’Unione oggi quasi 1 persona su quattro vive in una serissima condizione di rischio povertà o esclusione sociale. Nel solo 2001 i poveri assoluti sono aumentati nel territorio dell’Unione di 2 milioni di unità. Altro che obiettivo della cosiddetta strategia “Europa 2020”, ancora oggi considerata come la principale road map per rilanciare lo sviluppo e la crescita, l’occupazione e l’inclusione del continente. In quella strategia, adottata nella primavera 2010 si prevedeva infatti che entro il 2020 si dovesse ridurre il numero dei poveri assoluti di 20 milioni di unità. Di questo passo, li aumenteremo almeno di quella cifra, mentre gran parte della classe media europea scivola pericolosamente verso la soglia del rischio povertà. In alcuni paesi dell’UE il PIL si è contratto negli ultimi 18 mesi anche oltre il 20%, in altri il potere medio di acquisto delle famiglie è sceso del 10%. Anche in Italia del resto ci ha pensato l’Istat nei giorni scorsi a suonare il campanello di allarme: l’11,1% delle famiglie – più di una su 10 – è sotto la soglia di povertà relativa (pari a 1.011 euro per due componenti), mentre una su 20, cioè il 5,2% degli italiani, vive nella povertà assoluta.
Come ho avuto modo di sottolineare con forza nel corso del dibattito tenutosi alla plenaria del CESE con il Ministro Mavroyannis, rappresentante della neo Presidenza semestrale cipriota dell’Unione, senza fare demagogia alcuna, tutti sappiamo che la disperazione cresce un po’ ovunque in Europa e sappiamo quali tremende rotture sociali e esplosione dei sistemi politici questo ha rappresentato nel passato.
Nei passati cinque anni, il salvataggio delle banche, dalla crisi Lehman in poi, è costato agli Stati circa 4.700 miliardi Euro. In testa gli Stati Uniti che he hanno spesi oltre 2300, seguiti dalla Gran Bretagna con 1150, la Germania si avvicina a quota 450, il Belgio a 200, la Grecia è a soli 3,4, il Portogallo a 6,2, la Spagna a circa 20 e l’Italia a poco più di 4. E tutto questo senza contare i 100 i fondi che verranno messi a disposizione oggi per salvare il sistema bancario spagnolo. E’ ben vero che si è trattato di denaro a prestito, per oltre la metà già restituito. Ma esso ha causato la esplosione dell’esplosione dei debiti degli Stati (oggi il vero male del sistema) e ciò comunque costa anche direttamente al contribuente. La tanto vituperata Italia, che finora non ha mai chiesto aiuto agli altri come ripete il premier Monti, oggi si indebita al 6% sui mercati per partecipare al salvataggio delle banche spagnole, cui viene prestato al 3%. E questa differenza non la paga certo il bilancio comunitario o i paesi della tripla AAA …!!!
Nessuno scandalo o demagogia anti banche – anche se un po’ di doveroso ordine nel settore andrebbe fatto (vedasi lo scandalo del Libor e le troppe connivenze con profitti indegni fatti sulla pelle dei poveracci con l’uso di tutte le possibilità della speculazione senza freni). Il crollo del sistema finanziario può far implodere il sistema mondiale e non solo causare recessione, ma anche conflitti che pensavamo cancellati.
Ma così è anche per la disperazione causata dalla crescente povertà, che non vede neppure vie di uscita a breve e tutti ben sappiamo che il vero metro di misura del cosiddetto “deficit democratico” è proprio il nodo della povertà: non solo il dovere di ogni democrazia che voglia dirsi tale e fondata sui diritti fondamentali della persona di non lasciare indietro nessuno, ma oggi soprattutto l’urgenza di fronteggiare con misure straordinarie la crescità ovunque della disperazione e delle povertà anche delle famiglie medie.
La povertà oggi è la più grande emergenza sociale, economica e politica dell’Unione Europea e come tale deve essere assunta nell’agenda europea. Per questo è da apprezzare il fatto che la Presidenza cipriota intende fare della solidarietà e della coesione sociale la sua priorità principale, con il motto “Una Europa migliore, più prossima ai propri cittadini”. Ora però si tratta di passare ai fatti e pretendere che il tema povertà venga concretamente messo nell’agenda dei vertici, vengano rispolverati programmi e azioni per contrastare questo flagello e offrire speranza, a coloro che, già più deboli, pagano il prezzo più pesante di una crisi causata da altri, impuniti.
Si segnala questo rapporto molto interessante, prodotto dalla Rete Europea per la lotta contro la povertà, condotta da uno straordinario militante irlandese, Fintan Farrell, ben noto a chi opera nella Piazza Europa. Prende in esame in modo molto preciso tutti i Programmi nazionali di riforma 2012 e i Rapporti sociali nazionali dei 27 paesi, realizzata da ogni governo ai sensi della Strategia 2020. Un quadro veramente preoccupante, con alcune indicazioni molto concrete di azione europea proposte da EAPN. http://www.eapn.eu/images/stories/docs/EAPN-position-papers-and-reports/2012-eapn-nrp-report-en.pdf
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