Mondo

Il costo della “non-Europa”

di Luca Jahier

Contrariamente alle idee demagogiche che sono diffuse da molti movimenti politici e talora anche da alcuni leader europei, le difficoltà economiche attuali non son affatto legate agli eccessi di un manipolo di eurocrati bruxellesi, ma  al carattere fondamentalmente incompiuto della costruzione europea, che non solo ha costi inaccettabili, ma genera anche punti di crisi e di rottura che possono generare disastri economici, sociali e politici immensi.

Il CESE ha approvato nei giorni scorsi un importante parere per la costruzione politica dell’Europa, nel quadro della nuova prospettiva che si è aperta con le decisioni assunte dal Consiglio europeo di giugno, il via libera della Corte costituzionale tedesca all’ESM, le decisioni della BCE e il magistrale discorso del Presidente Barroso sullo Stato dell’Unione di fronte al PE, che ha rilanciato la prospettiva di una Unione federale di Stati membri.

Il parere, firmato dal relatore George Dassis, sindacalista greco e Presidente del Gruppo II dei lavoratori del CESE e dal correlatore Luca Jahier, esponente del terzo settore italiano, Presidente del Gruppo III degli Interessi diversi del CESE e realizzato in piena collaborazione con Henri Malosse, dirigente delle camere di commercio francesi e Presidente del Gruppo I degli imprenditori del CESE, che ha presieduto l’apposito sottocomitato che lo ha elaborato, ha ottenuto la quasi totalità dei voti della plenaria, significando così la piena convergenza di tutte le forze sociali, economiche e della società civile europee presenti nel CESE.

24 anni dopo lo studio condotto dall’economista italiano Paolo Cecchini per la Commissione Europea sui costi della non-Europa in termini di completamento del mercato interno, che nel 1988 offerse argomenti decisivi per convincere gli Stati membri della opportunità rappresentata dalla messa in opera di una unione economica e monetaria europea, il parere del CESE rilancia oggi una proposta di lavoro assai più ambiziosa. Esso vuole dimostrare che l’handicap di cui soffre oggi l’Europa risiede non tanto nei ritardi nella costruzione del mercato unico, quanto piuttosto nella creazione di un’identità economica, industriale e tecnologica forte nel contesto della globalizzazione. A giudizio del Comitato, è dunque sull’insieme dei “costi della non Europa” dovuti alla natura incompiuta della costruzione europea che deve incentrarsi la riflessione.

Ed è a questi costi e sprechi giganteschi, che vanno imputate le vere ragioni della stessa crisi strutturale che attraversa oggi l’Europa e da cui tutti siamo convinti se ne debba uscire con più Europa, più investimenti comuni, più istituzioni comuni, più solidarietà comune.

L’impostazione raccomandata dal parere punta a ridurre i costi, ottimizzare le spese e trarre il massimo dalle opportunità esistenti, per poter dare una risposta adeguata alle sfide da affrontare oggi e trovare una via di uscita positiva e vantaggiosa per tutti, partendo dalle enormi economie e sinergie che si possono fare e che possono liberare risorse per nuovi investimenti e per sostenere il modello sociale europeo, fornendo basi solide per rilanciare la crescita del continente e opportune ambizioni sulla scena internazionale.

Si tratta di un contributo molto preciso e molto concreto, nel momento in cui si fanno peraltro molto difficili le discussioni in seno al Consiglio europeo sulle prospettive finanziarie 2014-2020 e ogni Stato membro è costretto a raschiare il fondo del barile per trovare risorse.

Il CESE chiede alla Commissione di realizzare quanto prima una stima il più possibile precisa dei costi totali della non Europa descritti nel parere e del loro impatto sull’occupazione e sulla crescita – costi relativi, ad esempio, all’assenza di una vera e propria Unione economica europea e di una messa in comune delle spese nel settore della difesa, nonché riguardanti il servizio diplomatico duplicato tra UE e Stati membri, le dogane, la guardia di frontiera, la protezione civile, la lotta contro la frode e il crimine organizato, ecc.

Il parere attira anche l’attenzione sui costi nel settore fiscale, in cui vige una concorrenza tra gli Stati membri che non è inquadrata nella prospettiva di interessi europei comuni, e in quello sociale, nel quale occorre esplorare la possibilità di creare almeno un quadro strutturato di convergenza delle politiche sociali dei singoli Stati membri; l’analisi si sofferma infine sul settore energetico e su quello della ricerca e sviluppo, che sono evidenti a tutti come chiari ambiti in cui dovremmo finirla di avere 27 bilanci separati e tutte le risorse dovrebbero convergere in un fondo unico europeo.

La riduzione dei costi, delle duplicazioni, delle inefficienze in tutti questi ambiti è solo questione di concreta volontà politica, da cui può derivare un potenziale formidabile di risparmi e di impatti socio-economici per il benessere dei 500 milioni di cittadini europei. L’Unione Europea, malgrado le sue riuscite indubitabili e il riferimento crescente che rappresenta nel mondo intero, continua a dubitare di se stessa e fa crescere dubbi e risentimenti nei confronti delle proprie istituzioni. E talora alimenta persino le prospettive di ulteriori rotture. Come la paventata uscita di alcuni Stati, forti o deboli dall’Euro, i cui costi sono persino cifrabili come fa il rapporto.

E questo è un messaggio politico forte per discutere con i cittadini dell’Unione del futuro dell’UE e predisporre le piattaforme politiche per le prossime campagne elettorali. E per convincere le opinioni pubbliche dell’UE della necessità di perseguire la direzione orami riavviata, nel momento in cui i sondaggi prevalente nella maggioranza dei paesi europei ci dicono il crescere di preoccupanti maggioranze nazionalistiche e assai critiche verso l’UE e il suo sviluppo.

http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.fr.eco-opinions.24437

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