Cultura

Cei contro la guerra. Il contropiede di Camillo Ruini

Il numero uno della chiesa italiana condanna senza mezzi termini l’idea di un attacco preventivo all’iraq. (di Gianni Cardinale)

di Redazione

La guerra al terrorismo scatenata dagli Stati Uniti dopo i terribili attentati dell?11 settembre aveva goduto della comprensione dei vertici vaticani e dell?episcopato italiano nonché il sostegno aperto delle gerarchie cattoliche d?Oltreoceano. Ma oggi questa comprensione e questo sostegno non ci sono più nei confronti dell?intenzione di Bush di allargare il conflitto all?Iraq. Rimane, da parte dei vertici ecclesiastici, la condanna del terrorismo, specialmente di quello perpetrato in nome di ideali religiosi, ma la soluzione armata architettata dagli strateghi della Casa Bianca non convince i vertici della Chiesa. Anzi. Il giudizio più articolato in questo senso è stato pronunciato il 16 settembre scorso dal cardinale Camillo Ruini, presidente della Conferenza episcopale italiana. Nell?occasione, il porporato dapprima ha registrato che «quella vastissima rete di solidarietà internazionale che si era rapidamente formata dopo l?11 settembre sembra incrinata da crescenti smagliature, anzitutto in quel suo primo e tradizionale punto di forza che è lo stretto legame tra gli Stati Uniti d?America e l?Europa occidentale». Poi ha dichiarato: «Con speciale attenzione all?atteggiamento da tenere verso l?Iraq, è senza dubbio necessaria la vigilanza più attenta e rigorosa, per prevenire il rischio di nuove e maggiori tragedie, i cui sviluppi sarebbero poi ben difficili da controllare». «Ma ciò», ha subito aggiunto Ruini, «non significa che possa essere intrapresa la strada di una guerra preventiva, che avrebbe inaccettabili costi umani e gravissimi effetti destabilizzanti sull?intera area medio-orientale, e probabilmente su tutti i rapporti internazionali. L?arma della dissuasione, esercitata nell?ambito dell?Onu con la più forte determinazione e con il sincero e solidale impegno di tutti i Paesi capaci di esercitare un?influenza concreta, può rappresentare, anche in questa difficile situazione, un?alternativa in grado di garantire la sicurezza e la pace. Da parte sua anche il governo iracheno dovrà evidentemente dar prova di realismo e di disponibilità a trovare e rispettare delle intese». Le affermazioni di Ruini sono state precedute da dichiarazioni concordi espresse da altri esponenti di primo piano della Chiesa italiana. L?8 settembre, il cardinale Carlo Maria Martini ha fatto cenno a «un mondo gravido di conflitti e minacciato di nuovi assurdi conflitti». Il 10, il suo successore a Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, a chi gli chiedeva dei venti di guerra che sembrano nuovamente addensarsi sull?Iraq, ha risposto: «L?esperienza continuamente dice che la guerra non risolve i problemi, ma li aggrava. Questo insegna la storia, ma è stato detto che purtroppo la storia è una maestra con pochi scolari o nessuno scolaro». Lo stesso giorno il cardinale di Torino, Severino Poletto ha ribadito: «Pace significa rifiuto di ogni forma di guerra, che non è mai la soluzione dei problemi che affliggono i popoli della terra». L?11 settembre è stata la volta del vescovo di Aosta, Giuseppe Anfossi, per il quale «siamo preoccupati per la nuova guerra che si affaccia all?orizzonte del mondo, non è con la legge del più forte, né alzando i simboli della potenza che si conquista la pace». Lo stesso giorno l?ordinario militare Giuseppe Mani, che ha come diocesi le forze armate italiane, ha detto: «Passare dal concetto di deterrenza a quello di guerra preventiva è un impegno gravissimo, sono scelte che fanno paura». E i giudizi della Chiesa italiana sono perfettamente in linea con quelli espressi dal Vaticano. In un?intervista ad Avvenire del 10 settembre, il ?ministro degli Esteri? vaticano, l?arcivescovo francese Jean-Louis Tauran ha pronunciato un secco no a ogni azione di guerra contro l?Iraq senza l?avallo Onu (in questo caso «si imporrebbe soltanto la legge del più forte»), e ha aggiunto subito dopo che anche in caso di via libera del Palazzo di vetro sarebbe legittima la domanda se la guerra, in questo caso, sia «un mezzo adeguato» per costruire la pace.


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