A poche ore dalla chiusura dei seggi elettorali i commenti impazzano sui principali quotidiani europei e, anche a seconda dei diversi contesti nazionali, i toni, le analisi e le considerazioni di prospettiva divergono molto. Vorrei qui fare solo qualche considerazione sommaria, individuare alcune piste di azione concreta a partire dal summit dei capi di Stato e di governo e chiudere con una nota per la Presidenza italiana dell’UE che si apre tra un mese.
– In primo luogo, la partecipazione ha tenuto. Per la prima volta del 1979, il tasso dei votanti non è sceso, ma anzi si è lievemente innalzato, attestandosi poco sopra il 43%, anche in presenza di un calo in alcuni paesi come l’Italia. La fuga dal voto era una della preoccupazioni principali negli ultimi mesi.
– In secondo luogo, il collegio dei 751 deputati del nuovo PE vede una chiara maggioranza popolare (che però perdono rispetto al 2009), i socialisti sono il secondo gruppo di misura, e i liberali, che pure perdono qualcosa, restano il terzo gruppo del Parlamento. Il PE non sarà ingovernabile come molti temevano. Queste tre forze sono oltre il 63% degli eletti (nello scorso PE erano il 72%) e il dato prevalente nella stragrande maggioranza dei paesi europei è che le forze politiche, che hanno condiviso e sostenuto le principali scelte degli ultimi cinque anni sono stati i vincitori di queste elezioni. Alcune perdendo un poco (come il caso della Merkel che scende di 6 punti rispetto alle politiche di settembre) altre guadagnando come mai prima d’ora (come il caso di Renzi e del PD).
– In terzo luogo, il variegato fronte euroscettico, eurofobico e populista, con alcuni casi nazionali di vero e proprio profilo nazista, avanza ovunque, più che raddoppiando il dato del 2009, ma non sfonda e si attesterà probabilmente poco sopra il 20%, restando del tutto aperto se e come riuscirà a costituire un gruppo politico nel PE, o sarà un insieme frastagliato come nel precedente.
Certo resta il dato drammatico di alcune situazioni nazionali, che inevitabilmente cambierà la geografia del gioco politico tra le capitali europee e che rappresenta una sfida maggiore per le classi politiche e per le società civili europee tutte. Tutto questo spinge con forte evidenza verso una “Grande coalizione europea”, dove peraltro i leader dei principali gruppi politici si sono già espressi con chiarezza durante la campagna elettorale per un cambio di passo decisivo delle politiche europee, fino alla “seconda fase dell’integrazione di Delorsiana memoria”, evocata i queste ore dal liberale Verhofstadt.
Inizia ora il confronto volto a definire entro il mese di giugno i Vertici delle Istituzioni europee. Mi auguro che a questo doveroso esercizio se ne aggiunga uno assai più rilevante e cruciale, per tradurre in nuove politiche la domanda di Europa e di cambiamento che questi risultati elettorali ci consegnano. Mi permetto di indicare 5 cose molto concrete e al tempo stesso strategiche.
1. Una profonda revisione delle politiche europee di immigrazione e asilo, realizzando quell’atteso salto avanti in maggiore responsabilità e condivisione da parte di tutti i paesi dell’Unione. Argomento usato come clava in molte campagne elettorali, mischiato in alcuni casi anche al cosiddetto “turismo del welfare” dei cittadini comunitari. E’ ora di separare il grano (molto) dal loglio (poco) e affrontare in modo serio e responsabile le situazioni di crisi più acute.
2. Una nuova Comunità europea dell’energia, rilanciata recentemente dal premier polacco Tusk, ma già nei progetti di Delors, mai realizzati per le miopie dei campioni nazionali italiani, francesi e britannici condite dal successivo interesse dell’asse con la Russia della Germania di Shroeder. E’ ora di farlo, per questioni di sicurezza e di enormi prospettive di crescita e occupazione per tutti, recuperando anche la logica pagante dell’economia verde.
3. Il rinascere delle tensioni da guerra fredda ad Est e la situazione di ebollizione del Mediterraneo rendono nuovamente attuale il rilancio di una politica europea della Difesa, che riprenda il progetto della CED a suo tempo bocciato dalla Francia e rilanci un processo di sinergie, di formidabili economie ed efficienze per i bilanci pubblici e anche di nuovi investimenti industriali europei (per intenderci, basta F35 e rilancio dell’industria aeronautica europea)
4. Un programma europeo di azione sociale, che a partire da uno schema di reddito minimo europeo per sussidiare le maggiori crisi di povertà nelle diverse regioni europee, costituisca il basamento di un rinnovato pilastro sociale dell’intera UE, premi gli attori del nuovo welfare e dia vita ad un meccanismo di stabilizzatori sociali automatici nell’Eurozona, come accade oggi per gli interventi sui deficit pubblici e presto sulle crisi bancarie.
5. Un più forte programma europeo sia per l’Erasmus che per il servizio civile europeo per tutte le età, come concreto e pervasivo antidoto al crescere delle chiusure nazionalistiche e xenofobe e come incentivo ad una più dinamica Europa delle mobilità e delle opportunità.
A fianco di dei cantieri in corso, mi sembrano azioni per un’agenda della speranza e del cambiamento, sui quali si può iniziare ad operare da subito e che possono qualificare il cammino preparatorio della revisione della Strategia Europa 2020 e anche la revisione di medio termine del Bilancio europeo. Azioni che sono certo saranno capaci di coinvolgere i cittadini e le forze economiche e sociali, forse anche di sostenere i complessi riassetti politici in alcuni paesi membri.
Vorrei chiudere con una postilla per la Presidenza italiana. La strutturale crisi politica della Francia, che si aggiunge alla sua crisi economica e ne fa oggi il grande malato d’Europa, pone alla Germania l’urgenza di riconsiderare il suo asse storico. L’Italia del governo Renzi e della forza di stabilità politica che i risultati nello stivale ci consegnano, assieme al più avanzato pur se ancora incompiuto risanamento economico effettuato nei bilanci pubblici, ne fa un partner naturale, base di un nuovo asse policentrico per i prossimi anni, che includa da subito Svezia, Polonia, Olanda e Spagna. Una carta da giocare subito, sia rivendicando la Presidenza del Gruppo S&D del Parlamento europeo, essendo la delegazione del PD con 31 deputati la maggiore di quello schieramento, sia ragionando su eventuali candidature anche per altre postazioni (dal Consiglio, al PE, all’Alto Rappresentante per la politica estera), sia giocando quel ruolo di facilitare e pilota di questa svolta di speranza, nel quadro del prossimo trittico di Presidenze UE, Italia, Lettonia e Lussemburgo.
Forza Italia, forza Europa: passo dopo passo, forse è la volta buona.
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