Ho partecipato questa mattina a Bruxelles alla 7° edizione del Forum “Observatory on Europe” – Improving European Integration and Competitiveness for Growth” realizzato dalla European House Ambrosetti, il 4° Think Tank europeo, con sede principale a Milano.
Un rapporto di grande interese, molto ben documentato, di cui consiglio la lettura attenta (http://www.ambrosetti.eu/en/news/2014/observatory-on-europe). Mi ha particolarmente colpito la sintetica e molto comunicativa tabella che traduce lo “Speedometro”, che il centro studi ha formulato per misurare il tasso di realizzazione degli obiettivi della Strategia 2020. Che ricordiamo è la strategia orizzontale di sviluppo che l’UE ha adottato nel 2010 per realizzare una crescita economica sostenibile e inclusiva, che aveva fissato degli obiettivi quantitativi molto precisi per ogni politica prevista (energia, incremento dell’occupazione, ricerca e sviluppo, riduzione emissione CO2, riduzione abbandono scolastico, più investimenti in educazione tecnica avanzata e universitaria, riduzione dell’esclusione sociale, banda larga e così via)
La si può trovare a pag 97 del Rapporto. Ne emerge che a 4 anni dall’avvio della strategia, per diversi di tali indicatori e per l’insieme dei 28 paesi siamo in un’area di Veloci progressi con tassi che superano il 50%. Per altri in un’area di discreti progressi. In questi due campi stanno sia gli obiettivi concernenti la ricerca, l’energia, la banda larga e l’educazione. Due obiettivi sono in un’area di lento regresso con indicatori negativi (meno del 10%) e sono l’aumento dell’occupazione e l’incremento della quota di produzione industriale sul PIL e uno è addirittura a MENO 72% ED è L’OBIETTIVO DELLA RIDUZIONE DELLA POPOLAZIONE A RISCHIO DI POVERTA.
E’ l’unico ad essere un reale disastro e tale rapporto viene fatto da una prestigiosissima istituzione del mondo business europeo e delle Università che certifica lo stato della distruzione del capitale sociale avvenuto in questi anni in Europa. L’obiettivo del 2010 era di ridurre entro dieci anni di 20 milioni le persone a rischio di povertà, dunque essendo allora 116 milioni era una riduzione di 24,5 milioni di perone in questa condizione di rischio. Il Rapporto, su base indici Eurostat ci dice che in soli due anni le persone a rischio di povertà sono aumentate in Europa a 120 milioni, cioè un più 3,4, che significa meno72% dall’obiettivo. E’ l’unico indicatore per il quale, dice il rapporto, è chiaro che l’obiettivo non è neppure più immaginabile.
A questo indicatore così evidente, se ne aggiunge un altro emergente dalla comparazione tra le spese per politiche attive del lavoro, tra UE e USA. La prima destina per l’insieme delle politiche per la competitività e l’occupazione dei 28 paesi una somma di 7,6 miliardi di Euro nel 2011 per un totale di 217 milioni di lavoratori, vale a dire 35,1 euro per lavoratore. Il bilancio federale USA ha speso nel 2010 18,1 miliardi di dollari solo per le politiche del mercato del lavoro che coinvolgono una massa di 143 milioni di lavoratori, vale a dire poco meno di 100 euro per lavoratore. Certo nel primo caso le competenze in materia di lavoro sono essenzialmente nazionali, ma la differenza dei risultati int ermini di disoccupazione è altrimenti chiara.
Se si associa questo argomento al fatto che, a 6 anni dall’esplosione della crisi, le politiche di responsabilità fiscale e le consistenti misure di austerità negli stati periferici dell’UE e di maggiori e più pertinenti regole nel campo della sorveglianza bancaria hanno permesso di risolvere quasi tutte le situazioni di crisi e rischio di default del sistema, la situazione è quantomai lampante. I settori che sono più in crisi e in territorio più che negativo sono le imprese, i lavoratori e le famiglie e i cittadini a rischio di povertà (questi ultimi – un quarto della popolazione europea – spinti sull’orlo del baratro).
Dunque il programma e le priorità della Presidenza italiana presentati oggi al Parlamento sono più che mai realistici nel chiedere un cambiamento di priorità e finalmente di investire in crescita durevole e occupazione. Mi permetto di indicare solo due suggerimenti pratici per l’immediato ed una indicazione strategica a medio termine.
Primo, uno dei principali motori della crescita a medio termine è la seconda fase dell’integrazione del mercato unico europeo, che per molte parti resta ancora il regno delle molte posizioni di rendita settoriali e nazionali (basti pensare ai servizi e ai trasporti ferroviari e marittimi o all’energia). Il Rapporto Monti, consegnato oltre tre anni fa indicava che da un simile processo possono venire in 5 anni 6 punti di PIL per tutta l’UE. Ma c’è però una condizione, che si applichino anche a questo campo le stesse regole, vincoli e sanzioni che si sono applicate nel campo della competitività o delle politiche di supervisione dei bilanci nazionali e di controllo del deficit. Altrimenti si continuerà con la solita omelia, lasciando le mille posizioni di rendita in tutti i paesi e settori.
Secondo, che si metta seriamente mano a politiche comuni nel campo del mercato del lavoro, anche con incentivi seri ai paesi che fanno riforme strutturali, e della lotta contro l’esclusione sociale, adottando finalmente sia un meccanismo europeo di reddito minimo. Come anche avviando i lavori per degli stabilizzatori sociali automatici in caso di crisi, simili a quelli adottati per le crisi bancarie o dei bilanci pubblici. Altrimenti si fanno solo chiacchere. Un primo banco di prova è certamente la piena riuscita della Garanzia giovani e fo almeno il raddoppio del bilancio europeo a disposizione, forse anche pensando a forme di Erasmus dedicate ai settori delle professioni più tecniche e ad un programma sostenuto di servizio civile europeo, volto a far immergere giovani e meno giovani in esperienze di altri paesi ad alta potenzialità di crescita, quale la cultura, l’economia sociale, lo sviluppo comunitario, l’economia verde, ecc.
Queste cose si possono mettere in cantiere subito, e possono marcare l’avvio della muove legislatura.
A questo aggiungerei l’indicazione che una seria e strategica revisione del programma Europa 2020, da farsi in autunno e concludersi la prossima primavera, potrebbe essere la giusta occasione per rafforzare proprio gli aspetti di investimento su crescita, occupazione, coesione sociale e territoriale, innovazione e sostenibilità, che potrebbero diventare il nuovo bilanciamento delle politiche di riforme paese e di responsabilità fiscale previste dal patto di stabilità, uscendo così dalla sola dittatura del controllo dei deficit di bilancio che, da soli, ci condannano alla recessione perpetua.
Un simile sguardo strategico e concreto può informare sia il Consiglio europeo dei prossimi giorni, le nomine ai vertici delle Istituzioni e l’avanzata decisa della Presidenza italiana dell’UE. E sollecitare così un nuovo passo a tutte le strutture dell’Unione.
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