Mondo

La Kirchner cade “por una cabeza”

di Paolo Manzo

Carissimi amici di Vita,

per commentare quello che è successo in Argentina nella notte di ieri uso un mio articolo, pubblicato oggi su Europa (www.europaquotidiano.it)

La presidenta argentina Cristina Fernandez de Kirchner ha perso la sua battaglia in Senato, il settore rurale ha vinto il braccio di ferro con il governo che nei mesi scorsi ha diviso il paese come mai era accaduto negli ultimi anni, il kirchnerismo inteso come modalità di governare senza dialogare che non ne fosse parte integrante è finito. Sono queste le tre principali considerazioni che possono essere fatte dopo la bocciatura del Senato argentino del progetto di legge che voleva aumentare al 45 % le tasse sulle esportazioni agricole. Decisivo il voto di Julio Cobos, presidente del Senato nonché qualche mese fa candidato alla vicepresidenza con Cristina Fernandez de Kirchner. Commosso e visibilmente sofferente, alle 4.25 del mattino di ieri, le 9.25 in Italia, Cobos ha decretato la sconfitta della Kirchner. “La storia mi giudicherà”, ha detto quasi in lacrime Cobos dopo una giornata e una notte che tutti, sia la stampa sia i politici di ogni schieramento, hanno definito, non a caso, “storica”.

Vale la pena, dunque, ripercorrere le ultime ore che hanno sconvolto un paese tradizionalmente abituato ai colpi di scena. Un paese dove per capire le dinamiche più della geopolitica è importante la psicologia, diffusa al tal punto che già negli anni Sessanta il celebre scrittore Julio Cortázar si vantava di essere “l’unico argentino a non essere stato in analisi”.

“Siamo tranquilli, tutto conferma che abbiamo i numeri per approvare la legge al Senato”, aveva vaticinato poche ore prima del voto decisivo il capo di Gabinetto di Cristina, Alberto Fernandez. L’ombra di Cristina e, soprattutto, l’uomo di fiducia del marito Néstor, il principale responsabile della linea dura con il settore rurale o, come lo chiamano a Buenos Aires, “el campo”. Quel “siamo tranquilli”, tuttavia, era stato pronunciato da un Alberto con lo sguardo basso di fronte ai giornalisti. Strano perché lui solitamente punta direttamente all’iride dell’interlocutore. Quel “siamo tranquilli” era una frase più per convincere se stesso che i giornalisti, un’estrema dimostrazione di forza, disperata e inutile. Di lì a poco, dopo 18 ore di discussioni al Senato, la storia lo avrebbe smentito e, probabilmente, Alberto Fernandez lo sapeva già.

Le avvisaglie, del resto, c’erano state. Avvertimenti chiari e numerosi da parte dei senatori, 48 dei quali (su un totale di 72) erano con Cristina sino a 128 giorni fa, quando la crisi era iniziata a causa del decreto sulle tasse al “campo”. Un vantaggio di due terzi bruciato in poco più di quattro mesi. Senatori in fuga da Cristina dunque, a cominciare da Carlos Reutemann, l’ex campione della Ferrari che aveva “imparato a guidare da bambino sul trattore del padre” e che rappresentando una provincia come quella di Santa Fé, spina dorsale della produzione cerealicola argentina, aveva annunciato che non poteva schierarsi contro i piccoli produttori rurali, i chacareros. Gli stessi che per mesi hanno bloccato il paese perché, con quell’imposta del 45% sulla produzione “sarebbero ridotti al lastrico. Con questa gente si deve dialogare”. Parola di Reutemann, l’ex campione della Ferrari che ha votato contro Cristina. Assieme ad altri undici senatori che sino a qualche mese fa facevano parte della maggioranza kirchnerista, ma che ieri mattina hanno messo sotto il governo di Cristina.

Le avvisaglie della crisi, comunque, erano arrivate anche dalla piazza, martedì pomeriggio. Alla vigilia del voto decisivo del Senato, infatti, i due schieramenti avevano deciso di far scendere in piazza la loro gente in manifestazioni contrapposte. “Saremo una multitudine”, avevano promesso i leader dei contadini, “sono degli oligarchi” e “gli dimostreremo che lo Stato è più forte di ogni tentativo di golpe”, aveva ribattuto Néstor Kirchner, il principale oratore della manifestazione governativa. Il risultato, tuttavia, era stato chiaro. In pieno centro, davanti al Parlamento, la compagine filo-Cristina martedì non era riuscita a riunire più di 90mila simpatizzanti. Nel quartiere di Palermo, invece, i manifestanti scesi in piazza per protestare contro la politica economica del governo erano stati tra i 250mila e i 300mila. Un segnale forte che probabilmente ha influito anche sul voto del Senato. Un segnale forte soprattutto se si considera che la manifestazione “oficialista” aveva mobilitato tutto l’apparato dello schieramento kirchnerista, con in testa sindacalisti e leader peronisti dei principali comuni della provincia di Buenos Aires, tradizionale bacino di consenso per Néstor e Cristina.

La “presidenta” avrebbe potuto evitare tutto ciò, dicono gli analisti politici, se invece di cercare lo scontro gridando alla “minaccia oligarchica” e ai “picchetti dell’abbondanza” trasformando una normale discussione di politica economica in una sorta di guerra santa, avesse cercato il dialogo. Da oggi, dopo la sconfitta al Senato, al tavolo del dialogo Cristina sarà costretta a sedere. A meno di non volere far ripiombare il suo paese in una crisi dagli esiti difficilmente prevedibili.

Vi segnalo anche il blog di Pippo Pisano, un amico che vive a Buenos Aires e che conosce bene il mondo della cooperazione, lavorandoci da anni.In realtà è stato proprio Il Migratore Clandestino che ha ispirato il titolo di questo post:

Alla fine la presidenta Cristina non ce l’ha fatta. Stanotte il Senato argentino ha bocciato l’aumento delle imposte sulle esportazioni dei prodotti agricoli. Per un solo voto, una cabeza, come dice il famoso tango. Per ironia della sorte, la cabeza decisiva è stata quella del vice di Cristina, Julio Cobos. E’ una sconfitta dura per Cristina… Per continuare a leggere cliccate sotto e, per l’esattezza …………………………………………qui


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