Mondo

Cronaca tragicomica di un’intervista a Battisti/2

di Paolo Manzo

(segue). Dal parquet in legno mi rialzo con un colpo di reni degno del mitico “Ragno nero”, alias Cudicini e, con una voce ferma e cercando di frenare l’entusiasmo delle mie sinopsi improvvisamente rientrate in azione, rispondo come se la proposta fosse la cosa più naturale del mondo, “Certo Senatore, per me sarebbe un gran colpo poter intervistare Cesare Battisti. Quando crede si possa fare e, soprattutto, come mi devo muovere? Sa io sono a San Paolo … “. Gentilissimo come suo solito, Edoardo Matarazzo Suplicy mi spiega con una calma serafica: “Mandi un fax a Cezar Peluso, del Supremo Tribunal Federal e poi venga prima che può qui a Brasilia. Forse entriamo in carcere già stasera ma, di sicuro, domattina saremo insieme a Papuda”. Poi, tornando all’intervista per La Stampa riprende a parlarmi delle sue origini italiane, di Galileo, di Copernico e a quel punto, vedendo le lancette dei minuti scorrere impietose e il tempo assottigliarsi decido di “tagliarlo” perché “debbo mandare subito il fax, prendere un aereo e andare a Brasilia”. Prima però mi premuro di assicurarmi con il Senatore della fattibilità reale della cosa. “Lei è proprio sicuro che otterrò l’ok per entrare da Battisti e parlare con lui?”. “Certo, stia tranquillo, domani è sicuro, la faccio entrare io”. Click.

“Mariaaaaaaaaaaaaaa”. Grido verso mia moglie, donna dalla pazienza infinita, e le chiedo di chiamare subito l’agenzia di viaggi di fiducia e di prendere un biglietto di sola andata per Brasilia, partenza massimo tra 3 ore, giusto il tempo di mandare il fax, chiamare il Supremo assicurandomi che lo stesso sia arrivato, mettere dentifricio, spazzolino, 4 mutande e 4 calzini in uno zainetto e arrivare a Congonhas, l’aeroporto per i voli interni di San Paolo. Parto, sicuro del successo della missione e con un umore che è un mix calibrato tra quello di James Bond in “Mission Impossible” e quello di un bambino goloso in un emporio di dolciumi colorati. Mentre mi imbarco fischietto “Ti amo” di Umberto Tozzi ma, invece che a Maria, mentalmente la dedico a Suplicy, l’uomo che mi ha spalancato le porte verso uno scoop mica da ridere e che, certamente, farà schiattare d’invidia i colleghi, a cominciare dall’ottimo Omero Ciai di Repubblica, da giorni di stanza a Papuda e dintorni. “Lo ospito nella mia casa delle Langhe, con annessa tagliolinata e grattuggiata generosa di tartufo bianco” penso tra me e me, sempre avendo come oggetto il senatore dei miei sogni, mentre dall’aereo vedo brillare in lontananza le luci di Brasilia … (continua)

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