Non profit

Il ringraziamento delle aziende a chi opera nel sociale

Riccardo Bonacina in risposta alle perplessità di una lettrice sulla pagina di VITA relativa alle aziende inserzioniste

di Riccardo Bonacina

Email: Spett. redazione di Vita, apprezzo molto il vostro lavoro ed impegno, ed è per questo che sono rimasta un pò perplessa e sconcertata nel vedere sull’ultima pagina di Vita di questa settimana il “tributo” ad aziende come la Nike, la Coca Cola, l’Adidas, la Novartis e l’ENI. Passi per le altre citate, ma, insomma, credo che molte associazioni del terzo settore e chiunque abbia letto la Guida al Consumo Critico condividerà il mio stupore… Non basta un pò di beneficenza per lavarsi la coscienza, quando molte delle citate aziende e multinazionali dovrebbero rivedere radicalmente le proprie politiche. Credo che sia stato uno sbaglio e una caduta di stile da parte di Vita, non credete? Gradirei una vostra risposta. Cordialmente e con immutata stima, Alessia M. ? VR Gentilissima Alessia, intanto grazie per il messaggio e per la stima che ci dimostri leggendoci e cercando un dialogo e delle spiegazioni. Ti chiedo lo sforzo di leggere questa lunga lettera. Ritenendo i lettori, qualunque lettore, anche chi ci ha incontrato una sola volta e per caso la nostra vera ricchezza ti rispondo, come è mia abitudine personalmente. Nei confronti della pubblicità e degli inserzionisti pratichiamo una politica etica che non si limita a dire sì o no a questo o a quest’altro, ma che prevede sia il coinvolgimento delle aziende in progetti sociali che un nostro monitoraggio sulle loro pratiche. Ci interessano gli stili di vita, anche quelli delle aziende. Vedi, credo di poter affermare, con umiltà orgogliosa, che davvero VITA è l’unico giornale italiano che vive grazie a chi ci acquista e si abbona e a chi sceglie di far pubblicità in modo trasparente dalle nostre pagine (pubblicità che, ovviamente, vagliamo e scegliamo). Nei nostri sette anni e passa di storia non dobbiamo dire grazie a nessuno se non a coloro in cui abbiamo suscitato un po’ di stima. Non abbiamo voluto contributi pubblici né ci siamo inventati trucchetti per estorcere soldi ai contribuenti inventandoci giornale di partito. Noi viviamo solo delle copie che vendiamo e della pubblicità, oltre, mi creda, dei nostri sacrifici. Sai, è bello, ma non facile non avere padroni. A testimoniare la nostra terzietà, oltre, naturalmente al e ai suoi contenuti, battaglie, e informazioni, c¹è credo la mia storia personale che testimonia come nella mia vicenda giornalistica l¹indipendenza sia la primaria virtù, per questo ho fondato Vita andandomene dalla Rai. Veniamo alla pubblicità. Ci sono aziende che hanno reputato di fare un’inserzione su “Vita” per dire che sono attente a temi che “Vita” tratta ogni settimana. Noi possiamo rifiutarle, come abbiamo fatto sempre con Nestlé, e come abbiamo fatto sino al 12 maggio ’99 con Nike. Ma se qualcosa cambia, perché no? Se un’azienda scopre che un comportamento socialmente corretto e responsabile fa bene anche al profitto, se scopre che i consumatori bisogna tenerli in considerazione, sarebbe da fessi voltare la faccia dall’altra parte e non incoraggiare tale nuovo comportamento. Ecco, noi abbiamo delle regole, chiediamo alle aziende di rispettarle e di sottoporsi al nostro monitoraggio. Un caso esemplare: il caso Nike: “Vita” è stato il primo media in Italia a suscitare il “caso Nike” pubblicando nel giugno 1996 il reportage fotografico di “Life” (quello con il bambino che cuciva palloni con marchio Nike). Per quel servizio ho subìto querela e da allora, come potrà immaginare, ho seguito passo passo, giorno dopo giorno la vicenda Nike. E la collezione di “Vita” è lì a testimoniarlo. Intanto la Nike, già nell¹ottobre del 1996, dopo lo scandalo mondiale suscitato dalle foto, comincia a ritirare tutte le commesse ai contoterzisti nella regione di Sialkot in Pakistan. Ed è la prima grande azienda a farlo. Nel frattempo il magistrato che segue la mia querela decide, sempre in ottobre, di non rinviarmi a giudizio. Solo allora i coraggiosi giornali italiani, piccoli o grandi, di opposizione o di governo, decidono di raccontare la vicenda Nike e pubblicare quelle foto. Il primo a farlo, ricordo, fu “Sette”. Da allora c¹è un perenne ritardo sulla questione Nike. Le cito solo i nostri servizi del ?98: n. 3/98: per la prima volta in Italia “Vita” riesce a mobilitare i calciatori sul tema del pallone pulito. Si pronunciano Baresi, Peruzzi, Lippi, Taibi, Zaccheroni, Zidane, Signori. Il loro appello è ripreso da tutti i media in Italia. N. 4/98: Su “Vita” viene annunciata con due mesi di anticipo l¹uscita del pallone di Transfair che verrà distribuito dal 18 aprile nei supermercati Coop. N. 5/98: “Vita” riesce a far pronunciare Michel Platini, presidente del Comitato organizzatore dei Mondiali di calcio, sul tema dei palloni puliti. La sua intervista desta scalpore e fa il giro di tutta la stampa sportiva d¹Europa. N. 15/98: anniversario del martirio di Iqbal, il bambino pakistano ucciso perché denunciò al mondo lo scandalo dei tappeti fatti dai bambini. In quel servizio aggiornavamo sulla vicenda Nike grazie al viaggio in Pakistan di un nostro redattore: la Nike è la prima azienda ad aver applicato il metodo di certificazione detto “Sialkot” verificato dall’Organizzazione internazionale del lavoro e dai sindacati locali, i contoterzisti sono ormai un triste ricordo, le aziende in Pakistan un esempio. Chiediamo un giudizio anche a Gesualdi, coordinatore del Centro nuovo modello di sviluppo, che scrive: “E¹ un fatto che su questo tema un¹azienda come Nike si sia messa a posto. Bisogna prenderne atto. Ma le altre?”. E in quell¹occasione Gesualdi avvertiva: ³Ora Nike deve impegnarsi sull¹adeguamento dei minimi salariali nelle aziende del Sud-est asiatico”. N. 21/98: diamo conto della conferenza stampa del 12 maggio del presidente Nike che si impegna sul tema dei minimi salariali e che pone il limite di assunzione nelle aziende Nike a 18 anni. Una scelta che fa addirittura dire all¹allora presidente Scalfaro: “La Nike è un esempio per tutte le aziende”. Nel rattempo seguendo il caso Nike sappiamo della creazione di una Fondazione a favore dei bimbi indigenti anche nelle aree industrializzate e più volte il responsabile Nike della comunicazione chiede al settimanale che dirigo di poter fare inserzioni pubblicitarie: gli rispondo sì solo il 13 maggio quando dopo una lunga battaglia reputo che Nike, per ora, sia davvero a posto. Il 9 giugno ?99 anche i Verdi, in un convegno a Roma in cui sono stato relatore, presentano Nike come uno dei modelli possibili e al convegno, accanto a me, è stata relatrice la segretaria generale di Mani Tese, Siniscalchi. La battaglia contro il lavoro minorile è solo all¹inizio e non solo nel settore dei prodotti per lo sport; per questo “Vita” è stata tra i promotori della Global March e continua il suo impegno contro Lotto e tante aziende italiane, come Filanto. Il rapporto con Nike Italia, poi, continua fuori dal giornale e riusciamo a convincere Nike ad organizzare la partita Inter/Napoli nell¹agosto ’99 devolvendo tutti i proventi dell¹incasso e i diritti televisivi alla costruzione di un centro di aggregazione giovanile a Sarno. Il progetto è della Caritas di Sarno e garante è l’ex direttore nazionale Caritas, don Elvio Damoli. A settembre escono ancora notizie provocate dal rapporto Ernst &Young (che peraltro è del febbraio ’98), i polemisti dell¹ultim¹ora si dimenticano però di sottolineare come il rapporto sia stato commissionato proprio da Nike per acquisire ulteriori elemneti di conoscenza. In quelle stesse settimane altri suscitano il problema della paga dei lavoratori asiatici alle dipendenze Nike, solo 48 dollari la settimana (cioé circa 320 mila lire al mese e non 64 mila), si dice, peccato però che nessuno dica che in quei Paesi è un salario superiore a quello che percepiscono, per esempio, maestri o poliziotti. Insomma io sono davvero convinto (sulla base di dati e conoscenze, che mi creda, ho accumulato in gran quantità) che Nike sia sulla buona strada. Testimoninanza di questo vengono anche dalla recente missione di Andrew Young, ambasciatore Usa alle Nazioni Unite, e da Unicef e Save the Children organismi indipendenti che stanno monitorando le aziende Nike nei Paesi a rischio. Così come lo dimostra il recente dossier di Global Exchange, che abbiamo riassunto sul giornale proprio nel n. 19/99 a pag 13, e che promuove le politiche sociali di Nike. È evidente che Nike non è un¹associazione benefica ma una multinazionale la cui mission è fare business; mi sembra apprezzabile, però, che abbia capito che alcuni valori etici e il rispetto dei consumatori sono oggi necessari per stare sul mercato. Ultimo episodio, il rapporto curato dall¹organizzazione non governativa Global Alliance sulle condizioni di lavoro in Indonesia in nove fabbriche che hanno la concessione di Nike. Il rapporto è finanziato dalla stessa Nike che ormai da tre anni ha preso l¹abitudine di affidare questo tipo di indagini a ong indipendenti e Nike acconsente che siano resi pubblici così da potersi attivare verso i licenzatari. Le Monde commenta “Nike, un esempio per tutte le multinazionali”. Settembre 2001. il 21 di settembre Nike spinge le aziende di cui si serve in Messico a firmare il primo contratto collettivo dopo aver raggiunto un accordo con l’azienda il 31 agosto che pone fine al contratto di lavoro arbitrario che la legava al sindacato FROC-CROC. E’ una novita’ nel settore delle maquiladoras del Messico che non ha mai tollerato sindacati indipendenti. La vittoria e’ il risultato di una battaglia nove mesi e che ha visto le organizzazioni internazionali come Centro de Apoyo al Trabajador, Students Against Sweatshops, AFL-CIO, US Labor Education in the American Project, Campaign for Labor Rights, Korean House for International Solidarity, Maquila Solidarity Network, Clean Clothes Campaign con Nike. Le ong dicono in un comunicato “E’ importante che le aziende che si riforniscono dalla Mex Mode, in particolare Nike e Reebok, mantengano fede agli impegni e non interrompano le commesse adesso che e’ stato costituito un sindacato indipendente. Campaign for Labor Rights, a cui hanno fatto capo le comunicazioni, ci invita a scrivere a Nike e Reebok per ringraziarle del ruolo positivo svolto e invitarle a mantenere Mex Mode fra i propri fornitori. Giugno 2002. Rampini sulla prima pagina di Repubblica racconta il ritorno di Nike in Cambogia con un progetto sorvegliato dall’Ilo. Faccio perciò fatica, a capire e a giustificare l¹ostinazione su Nike, se non per la notorietà del marchio, quando la battaglia contro il lavoro minorile è ancora all¹inizio e coinvolge una gran quantità di multinazionali su cui nessuno spende una parola. Vedi anche il caso Benetton (di cui abbiamo sospeso, lo scorso anno, la pubblicazione della campagna). Lasciami segnalare, non proponendoti una storia così dettagliata marchio per marchio (attenzione non pubblicizziamo prodotti ma ospitiamo una dichiarazione di impegno – che verifichiamo – di aziende, e anche questo ha un senso) come la nostra libertà non sia limitata dai marchi pubblicitari che pubblichiamo, per esempio, sono famosi i nostri servizi contro Novartis per le sue colture transgeniche (chissà che non sia anche per questo che da due anni Novartis ha sospeso le sue attività nel transgenico?) siamo stati l¹unico giornale a pubblicare l’elenco di tutti i suoi campi italiani. Altrettanto famose le nostre battaglie contro la Rai nonostante l¹azienda pubblichi il suo marchio. Con le aziende abbiamo davvero un rapporto libero e trasparente: sei interessato al nostro pubblico e alle sue sollecitazioni etiche? Ok, dillo su Vita in modo trasparente, sappi che non solo ti faremo sconti riguardo all’informazione ai lettori ma che anzi sarai ancor di più nel nostro mirino. Se poi hai da ridire, il contratto si straccia, peggio per voi. Ti assicuro è il modo più trasparente e libero di rapporto con le aziende che conosco, lo dico dopo molti anni di esperienza. E mi sembra anche il modo più costruttivo, intelligente. A noi interessa cambiare stili di Vita dei consumatori offrendo buone informazioni ma anche le pratiche delle aziende, non spaccare qualche vetrina. Scusa la lunghezza e ancora grazie Riccardo Bonacina direttore editoriale Vita non profit content company


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