Sono queste le parole d’ordine che dominano il dibattito nel mondo del privato sociale e che sembrano ormai avere definitivamente soppiantato ogni riferimento a innovazione, replicabilità, scalabilità che invece hanno a lungo contraddistinto la riflessione su come utilizzare al meglio le risorse della filantropia istituzionale. Effettivamente, in un momento di grave crisi, dove le risorse sembrano mancare e dove il problema è spesso come evitare che importanti servizi siano costretti a chiudere a seguito dei tagli da parte dei trasferimenti pubblici, la promozione di partnership che permettano di razionalizzare le attività e ridurre i costi può apparire la strada maestra verso la sostenibilità.
In realtà dobbiamo riconoscere come i tentativi da parte degli enti d’erogazione, siano essi pubblici o privati, di incentivare questa evoluzione attraverso l’erogazione di contributi volti a sostenere network e altre forme di collaborazioni, non sembrano avere generato i frutti sperati. Al di là delle tante collaborazioni fasulle, finalizzate esclusivamente ad ottenere il finanziamento ed esistenti solo sulla carta, dobbiamo ammettere come troppo spesso, anche quando la partnership si concretizza realmente in momenti di scambio e di confronto, essa non è in grado di sopravvivere la conclusione del contributo.
Per cercare di dare una risposta a questa situazione che può apparire paradossale in quanto sembrerebbe indicare che una modalità che dovrebbe favorire la sostenibilità è in realtà in sé insostenibile, può essere utile fare riferimento ad un vecchio proverbio africano che ci insegna come: “se vuoi andare veloce vai da solo, se vuoi andare lontano vai con gli altri“. Ora, in un mondo in cui ci misuriamo sul breve e se non sul brevissimo periodo, l’implementazione di una strategia che dà i suoi frutti solo nei tempi lunghi rischia di non essere la più adeguata. Ci si dimentica, infatti, di come la gestione di una partnership sia in realtà molto onerosa in termini di utilizzo di risorse umane, che devono in qualche modo essere distratte da quelle che sono le loro attività normali per partecipare a lunghe riunioni ed incontri non di rado inconcludenti e, sebbene troppo spesso gli enti nonprofit non sono abituati a pensare ai costi umani in quanto il loro utilizzo non genera delle spese immediate, in realtà si tratta di risorse particolarmente scarse e preziose.
Un altro aspetto che è opportuno prendere in considerazione è che le partnership sono oltremodo efficaci nel migliorare l’impatto del proprio agire, ma non necessariamente hanno lo stesso effetto quando ci si concentra sul servizio erogato. Di norma il privato sociale si confronta con problemi complessi e multidimensionali che possono essere affrontati con qualche speranza di successo solo operando contemporaneamente su una pluralità di aspetti. È praticamente impossibile che una singola organizzazione possa avere a disposizione le competenze e le risorse per dare una risposta complessiva a tutte queste esigenze. Attraverso una partnership questo obiettivo diventa molto più semplice e possibile, con conseguenze molto positive per il bene di tutti.
In realtà, però, la maggior parte degli enti nonprofit troppo spesso interpretano sé stessi come erogatori di servizi per conto terzi ed in particolare per conto della pubblica amministrazione. Ne consegue che per questi enti il vero obiettivo non è tanto quello di generare l’impatto desiderato, ma di erogare il servizio nel rispetto degli standard stabiliti al minor costo possibile. In questa logica solo le partnership che permettono all’ente di risparmiare nell’erogazione del servizio o perché consentono di procurarsi fattori produttivi a minor costo o perché garantiscono una maggiore flessibilità operativa o perché facilitano uno scambio di informazioni che siano di immediato utilizzo pratico o perché aumentano il numero di potenziali clienti, possono giustificare il costo collegato all’investimento del tempo del proprio personale che la gestione di una partnership implica. Le altre no e devono essere giustamente considerate in termini negativi da chi è responsabile della gestione dell’ente.
Ci troviamo quindi nella situazione paradossale in cui proprio quelle partnership che potrebbero avere il maggiore impatto vengono abbandonate, in quanto non funzionali all’erogazione di quei servizi il cui obiettivo ultimo dovrebbe proprio essere il conseguimento di quel medesimo impatto che solo quelle partnership che vengono abbandonate, perché incoerenti con sani e rigorosi principi gestionali, possono conseguire. Se non troviamo il modo di rompere questo circolo vizioso ben difficilmente possiamo sperare di valorizzare al meglio le potenzialità che solo modalità collaborative possono generare.
Gli enti d’erogazione possono sicuramente offrire un loro contributo nel promuovere una società che valorizzi forme di collaborazione e di cooperazione che permettano di utilizzare quelle risorse che, a causa dell’isolamento in cui viviamo, finiscono per essere sprecate. Affinché ciò sia possibile è necessario innanzitutto chiedersi se alcune delle proprie modalità operative, tutte concentrate nella scelta di singole iniziative da premiare, non finiscano per ostacolare lo sviluppo di quella fiducia reciproca che è il vero fondamento di qualsiasi network e che non ci si può illudere di surrogare con qualche contributo aggiuntivo. Inoltre occorre avere il coraggio di promuovere approcci che operino nel lungo periodo e sappiano concentrarsi sull’impatto e non sulla generazione di singoli servizi.
Si tratta di una sfida certamente complessa e difficile, ma non impossibile, dato che sono già state sperimentate con notevole successo modalità operative, come, per fare un esempio, l’impatto collettivo, che hanno mostrato di poter conseguire tali risultati. La prossima assemblea di Assifero servirà per fare il punto su questi temi, nella speranza di aiutare il mondo della filantropia istituzionale a fare quel salto di qualità che le permetta di dare un contributo qualificato alla crescita non solo morale e civile, ma anche economica e sociale del nostro Paese.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.