In occasione della seconda edizione della Giornata del Dono l’Istituto Italiano della Donazione ha chiesto al Segretario di Assifero di illustrare quelle che potrebbero essere le conseguenze politiche e sociali che un approfondimento del tema del dono è in grado di promuovere nel nostro Paese. Il dono non è infatti mera distribuzione della ricchezza esso è un’opportunità feconda, un’opportunità che però in un mondo dominato dalla frenesia come il nostro non è sempre facile cogliere.
Per cercare di affrontare il tema dono senza cadere nella retorica è opportuno chiederci se e come esso possa permetterci di elaborare una prospettiva feconda, che ci aiuti ad affrontare la crisi presente con maggiori speranze.
In questi mesi è comune lamentarsi per l’assenza di risorse: il taglio dei trasferimenti pubblici e la riduzione dei consumi stanno generando povertà e mostrando come spesso manchino le risorse anche per soddisfare i bisogni fondamentali. Prima però di concentrare le nostre energie nella generazione di nuovi punti di PIL sarebbe forse opportuno chiedersi come sia possibile che ciò avvenga in un Paese oggettivamente ricchissimo come il nostro. Basta infatti guardarsi attorno per notare quantità infinte di risorse, umane, finanziarie, materiali che non vengono utilizzate o che lo vengono solo parzialmente, trasformandosi così in problemi sociali. Ci troviamo così nella situazione paradossale per cui da un lato abbiamo bisogni che non vengono soddisfatti e dall’altro risorse che potrebbero dare una risposta a questi bisogni, ma che non vengono utilizzate a tal fine ed anzi si trasformano in ulteriori oneri per la collettività.
Se è evidente come, soprattutto in una società complessa come la nostra, se le risorse non vengono combinate essere rimangono sostanzialmente improduttivi, è necessario chiedersi come mai i catalizzatori che hanno garantito nel passato lo sviluppo economico, il libero mercato e l’intervento pubblico, non riescano a garantire la piena occupazione dei fattori produttivi. Tale incapacità nasce forse dalla multidimensionalità dei bisogni coi quali ci confrontiamo. Il mercato funziona quando coloro che acquistano il bene sono in grado di sopportarne il costo dei fattori produttivi, ma non è spesso in grado di valorizzare l’eventuale beneficio sociale che la produzione di quel bene comporta, limitando la sua produzione sotto il livello che sarebbe ottimale.
Oggi gran parte dei bisogni sono multidimensionali. Essi non solo possono attirare le risorse dei loro utilizzatori finali, ma anche quelle delle pubbliche amministrazioni che sanno come una loro mancata soddisfazione rischia di generare costi ben superiori, cosi come quelle di tutti quei donatori e volontari che possono trovare in quell’attività un’opportunità per dare un significato alle proprie esistenze. Spesso però queste risorse se intervengono in modo isolato si rivelano insufficienti a coprire i costi dei fattori produttivi, con le conseguenze negative che tutti possiamo constatare. Nasce quindi l’esigenza di un nuovo catalizzatore che sappia operare contemporaneamente su tutti questi ambiti, creando così le condizioni di sostenibilità economica senza le quali ogni impresa, poco importa se profit o non profit, è destinata a fallire.
L’esperienza concreta mostra come il dono possa essere proprio questo catalizzatore capace di generare quella nuova generazione di imprenditori sociali di cui si sente una così forte esigenza. Il dono non solo è alla base della motivazione intrinseca di queste persone, ma è anche necessario per raccogliere le risorse materiali (capitale di rischio, assistenza tecnica, ecc.) senza le quali simile imprese difficilmente potranno avere successo.
Queste riflessioni mostrano quindi come il dono non è semplicemente una modalità per ridistribuire la ricchezza, ma può generarla. Se per molto tempo esso è stato pensato come una rinuncia, una sorta di dovere morale, oggi, sempre più spesso, appare un’opportunità in grado di generare ricchezza e lavoro, sia direttamente attraverso le imprese sociali, sia indirettamente contribuendo a rafforzare il capitale sociale che è condizioni fondamentale per lo sviluppo, non solo morale e civile, ma anche economico e sociale di ogni comunità. Infine il dono rappresenta una via per dare una risposta ad alcune delle esigenze profondamente umane che la nostra società non sembra in grado di soddisfare in modo adeguato: il bisogno di senso e di identità, quello di relazioni umane perché non strumentali e quello di vivere delle emozioni autentiche in quanto vere.
Affinché il dono possa permettere di cogliere queste opportunità è necessaria la presenza di un’adeguata infrastruttura sociale. Se rinunciare ad una quota del proprio reddito è relativamente semplice, operare affinché questa rinuncia si trasformi veramente in un’esperienza qualificante è un’operazione complessa che presuppone competenze, conoscenze e un’adeguata professionalità. Da qui la necessità della diffusione di una filantropia istituzionale che abbia come fine quello di assistere il donatore nel conseguimento dei suoi obiettivi evitando che i suoi contributi si rivelino inutili o addirittura generino risultati controproducenti, come invece troppo spesso accade.
Porre il dono quale fondamento della società civile, significa anche riscoprirne il significato politico. Se per secoli si è creduto che la società fosse il mero aggregarsi di individui autonomi unicamente mossi dall’esigenza di soddisfare le proprie utilità marginali, riscoprire il dono, significa riscoprire quella tradizione classica che vede nella persona umana un essere naturalmente politico, un essere cioè che è nato in relazione con gli altri e non entra in tale relazione solo per soddisfare i suoi bisogni.
Questa riscoperta può essere di grande fecondità. Essa infatti richiede di rivedere una normativa che non è fatta per aiutare il singolo a partecipare al bene comune, ma, fondata su un generale sospetto, mira ad impedire comportamenti opportunistici. Essa in realtà finisce per creare una rete di obblighi che vengono di norma tranquillamente elusi da chi pensa esclusivamente ai propri interessi dato che, fatta la legge, trovato l’inganno, ma finiscono per bloccare tutti coloro che vogliono contribuire al bene comune, tanto che spesso sono costretti a dar vita a delle vere e proprie frodi pie come sanno bene tutti coloro che operano nel privato sociale. Così per ostacolare degli astratti abusi, si finisce con l’impedire tanti contributi concreti al bene di tutti.
Ripensare i rapporti sociali partendo dal dono, può quindi rimettere in moto una storia che si è impantanata nella mera composizione degli interessi, offrire alla politica la possibilità di elaborare delle nuove visioni su cui mobilitare il consenso comune e vincere una corruzione che è la naturale conseguenza dell’assenza di prospettive e darsi gli strumenti per superare una crisi che non è certo monopolio della nostra penisola, ma che è comune anche a tutti i cosiddetti Paesi normali. In ultima analisi riflettere sul dono come fondamento della società significa ricostruire quella speranza che sola può ridare dignità alla nostra umanità.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.