Se potessero farlo i 60 ippopotami, figli e nipoti dei quattro che il boss colombiano Pablo Escobar fece arrivare appositamente dall’Africa nel 1984 per abbellire lo zoo personale che aveva allestito a Napoles – Napoli in italiano, così si chiamava la sua fazenda – oggi canterebbero “Ma che colpa abbiamo noi”. Soprattutto dopo la discutibile castrazione forzata cui sono stati sottoposti dalle autorità colombiane che, per sterilizzarli, hanno usato i fondi recuperati ai cartelli dei narcos. Una beffa del destino per il boss della droga che di sicuro si starà rivoltando nella tomba.Grazie all’export di cocaina negli Stati Uniti negli anni Ottanta, Pablo Escobar leader/fondatore del cartello di Medellín diventò il settimo uomo più ricco al mondo nelle classifiche di Forbes. Amava le donne ma aveva una vera e propria passione per gli ippopotami che, con giraffe ed elefanti, erano la principale attrazione del suo zoo. Oltre ad essere il più grande narcotrafficante dell’epoca, Escobar era molto legato alla sua comunità e, per questo, permetteva che ogni settimana intere scolaresche arrivassero da tutta la Colombia a Napoles – che dista 320 Km dalla capitale Bogotà – per ammirare quello che all’epoca era il più grande parco di animali esotici del paese. Una sorta di Gardaland colombiana insomma, all’interno del quale il boss aveva messo enormi statue raffiguranti dinosauri.
All’ingresso di questo mega-parco grande 22 Kmq, i bus con a bordo gli studenti colombiani passavano sotto un arco con sopra la replica del primo aereo monomotore usato da Escobar per trasportare coca negli States. Dopo la morte del boss avvenuta il 3 dicembre del 1993, le autorità confiscarono Napoles e regalarono la maggior parte degli animali esotici ad altre istituzioni legali. Tutti meno gli ippopotami che erano già troppi e, inoltre, all’epoca non sembravano rappresentare un problema.
Mai previsione fu più sbagliata perché complice il clima tropicale ed una quantità d’acqua e vegetazione ottima per la loro riproduzione, le tre femmine e l’unico maschio d’ippopotamo importati dal boss, si sono moltiplicati a ritmi di gran lunga superiori rispetto a quelli africani. Inoltre, da buoni erbivori, “gli ippopotami di Escobar” consumano ogni anno tonnellate di coltivazioni dei fazenderos locali che, logicamente, vedono in loro più un nemico da abbattere che un simpatico animale tropicale.
Che fare, dunque, con queste “placide bestiole”? Certo è che la castrazione è sempre meglio di essere ammazzati a suon di colpi di fucile o con un’iniezione letale, come accadde ad uno degli “ippopotami di Escobar” cinque anni fa, quando il problema della loro presenza sempre più massiccia nelle campagne attorno a Napoles venne alla luce, scatenando una lunga diatriba tra le autorità locali e gli animalisti di mezzo mondo.
Dalle quelle polemiche ne è uscito persino film, “Pablo’s hippos”, “gli ippopotami di Pablo”, del regista colombiano Antonio von Hildebrand che racconta, in modo paradossale, le traversie di quelli che all’epoca erano appena 30 “hippos”. Oggi che sono almeno il doppio e vagano nelle campagne colombiane alla ricerca di cibo – alcuni sono stati avvistati anche molto lontano da Napoles – il governo colombiano ha deciso di sguinzagliare uno stuolo di veterinari per procedere alla loro castrazione.
“È la decisione giusta” affermano sicuri da Bogotá mentre gli ippopotami si chiedono quale sia la loro colpa se un boss 30 anni fa ha deciso di metterli su un aereo e dall’Africa di farli arrivare in Colombia.
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