Politica

Volontari buoni e volontari cattivi

di Riccardo Bonacina

Questa mattina, su La Repubblica, Adriano Sofri scrive un articolo, intitolato “Buoni e cattivi volontari”, che contiene considerazioni interessanti e su cui val la la pena discutere. Fatemi sapere, perciò, la vostra opinione e il vostro giudizio su questo blog o alla mia e mail.

Scrive Sofri: “Le ronde sono una parodia del volontariato, e il volontariato è un nome sacro. (…) Quando la sinistra riconosce nel volontariato, ronde comprese, la sostanza del “radicamento nel territorio” che è diventato la sua frustata giaculatoria, sbaglia. (…) Noi diciamo “ volontariato”, e si spande un odore di santità, benché anche l’entrata a gamba tesa e l’omicidio possono essere volontari. Quando evochiamo il volontariato, è alla buona fede che ci riferiamo. (…) L’imbarazzo che si prova a sinistra è il sintomo della carenza di buon volontariato, che si tratta dei luoghi di lavoro e dei luoghi vietati agli estranei ai lavori, dell’uscita dalle scuole o delle persone sole, di chi è senza casa e di chi ha freddo e fame, di chi delinque e di chi mena le mani, dei luoghi bui e dei luoghi illuminati. Senza il buon-volontariato, non c’è vera conoscenza del luogo in cui viviamo, e tanto meno del modo di renderlo migliore, o meno peggiore: anche nel caso più favorevole, dove cioè esista ancora una onesta e appassionata attività di amministrazione locale, che resta pur sempre burocratica o monca se non si integri con la buona volontà civile. Fare un po’ di chiarezza sul punto servirà almeno a mostrare come la stessa attività politica abbia bisogno di tornare a essere prima di tutto volontaria, e reimpari dunque, piuttosto che a selezionare i peggiori, come in ogni altra corporazione, a promuovere i più capaci di generosità e di un’intelligenza più aperta”.

Sin qui Sofri e, ne converrete, la questione che pone è molto seria e di estrema attualità: che cos’è, infine, il volontariato? In cosa sono diversi il volontario della ronda padana e quello di chi accompagna un disabile in centro? Qual è il discrimine tra, per dirla con Sofri, “il buon e il cattivo volontario”?

Se Sofri pone in tremini urgenti e giusti il problema mi pare però difetti nelle risposte essendo il suo ragionamento tutto dentro una logica politica, e una logica politica di parte, quella di centro sinistra. Per Sofri la risposta risiederebbe nella “la buona volontà civile”, a far la differenza tra volontario buono o cattivo sarebbe “la buona fede”. Risposte fragilissime, addirittura fideistiche. Ah, gli occhiali della politica non aiutano mai a capire!

Il problema, a me pare, che sia a destra che a sinistra, sia pur da prospettive differenti, da anni ormai si continui a pensare al volontariato  come strumento per colmare le carenze del welfare state, o dello Stato in generale, oggi persino come risposta sicuritaria. Si pensa al volontariato come strumento per assicurare quei livelli minimi di servizi sociali ai segmenti deboli della popolazione e oggi come strumento di controllo (che orribile parola e che orribile pensiero!). Da destra in una prospettiva “compassionevole”, da sinistra nell’ottica dell’assistenzialismo istituzionalizzato Entrambe le matrici di pensiero, però, relegano la gratuità nella sfera privata, espellendola da quella pubblica.

Ma cos’è la gratuità? Questo è il problema. Possiamo accontentarci della definizione corrente di azione volontaria secondo cui quest’ultima sarebbe definita dalla non remuneratività delle prestazioni e dal beneficio arrecato ad una terza parte? Dobbiamo dire un bel no. La non remuneratività può diventare facile paravento per fini non propriamente di gratuità (speranza di un posto di lavoro, clientele politiche, o altro). In buona sostanza, il non pagamento delle prestazioni o, più in generale, la mancanza di ricompense (presenti o future) non assicura, di per sé, la gratuità, la quale è essenzialmente una virtù, che postula una precisa disposizione d’animo. Solo ciò che nasce da una motivazione intrinseca può essere veramente gratuito, perché davvero libero.

Il volontariato autentico, ha una principale caratteristica: afferma il primato della relazione sul suo esonero, del legame intersoggettivo sul bene donato, dell’identità personale sull’utile ovvero – per dirla con R. Esposito (1998) – il primato della comunità (cum-munus: donare insieme) sull’immunità (in-munus: non donare). C’è un interesse al fondo dell’azione gratuita: costruire la fraternità. Nelle nostre società, il dono è, in primo luogo, dono alla fraternità, come ha spesso sottolineato Stefano Zamagni. Percià una organizzazione di volontariato non si definisce tale solo perchè persegue l’obiettivo di arrecare beneficio a terzi. Se un certo numero di persone ben intenzionate e ben disposte verso gli altri, ad esempio perché altruiste, decidono di dare vita ad un’organizzazione alla quale forniscono, anche senza corrispettivo, risorse di vario tipo per “far cose” a favore di determinate tipologie di portatori di bisogni, questa sarà magari un’organizzazione filantropica, forse benemerita e socialmente utile, ma non ancora per ciò stesso una organizzazione di volontariato. La specificità di quest’ultima, infatti,  è la costruzione di particolari legami fra le persone. Laddove l’organizzazione sociale fa per gli altri, l’organizzazione di volontariato fa con gli altri. E’ proprio questa caratteristica che differenzia l’azione autenticamente volontaria.

Infatti, la forza del dono gratuito non sta nella cosa donata o nel quantum donato ma nella speciale cifra che il dono rappresenta per il fatto di costituire una relazione tra persone. Perciò o vietiamo di chiamare quelli delle ronde volontari o il volontariato è meglio si cerchi un altro nome.


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