Volontariato

Un azzardo di frontiera

di Giulio Sensi

Esiste una frontiera del volontariato piena di sfide ed urgenze. Riguarda una delle peggiori e silenziose piaghe del nostro tempo. La dipendenza da gioco d’azzardo è una patologia ormai certificata dall’Organizzazione mondiale della sanità ed è entrata da tempo nel manuale diagnostico per le malattie psichiatriche. Una dipendenza che in un momento di evaporazione di molte certezze -qualcuno la chiama crisi- diventa ancora più odiosa e pericolosa. L’azzardo, è noto, è una vera e propria economia in cui guadagnano in molti: nel 2011 il settore ha fatturato 70 miliardi di euro. Lo Stato però incassa sempre meno. Qualcuno tenterebbe di giustificare il danno sociale con il fatto che almeno le casse pubbliche ne vengono beneficiate.

un dato spesso trascurato parla di una serie di concause che hanno portato sempre meno fondi nelle casse statali. Se nel 2004 erano stati giocati 24,8 miliardi di euro e lo Stato ne aveva incassati 7,3 -il 29,4%- nel 2011 a fronte di 79,8 miliardi di euro giocati allo Stato ne sono andati solo 8,8, l’11,02%. Questa tendenza è certificata da “L’indagine conoscitiva  relativa agli aspetti sociali e sanitari della dipendenza da gioco d’azzardo” approvata dalla Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati. Un motivo in più, se mai servisse, per sostenere il manifesto “no slot” lanciato da Vita e dalla Casa del Giovane di Pavia.

Nonostante l’enorme giro di affari, non produce beni e impiega un numero esiguo di addetti ai lavori. Molto danno, poco beneficio, in termini relativi anche per lo Stato.

Nel danno non c’è solo il prosciugamento monetario di persone che magari vivono già situazioni di fragilità. Già nel 2008, avevano giocato almeno 28 milioni di persone. Oggi 17 milioni di italiani giocano abitualmente. Tanti giovani, tanti minorenni. Molte persone, come si suol dire, vi rimangono sotto. Essendo una vera patologia, esiste anche un “dato epidemiologico”. Ce lo spiega il Gruppo Abele di Torino, che sta lanciando delle importanti iniziative su questo tema.

Tra tutti coloro che giocano d’azzardo ben il 3% evolve verso la dipendenza. Questo dato fa presumere che in Italia i giocatori patologici arrivino a circa 800 mila e quasi due milioni siano i giocatori a rischio. Di questi quelli in trattamento sono pochissimi, circa 5000 unità sono censite dai Sert. La punta dell’iceberg”.

Leopoldo Grosso, psicologo e vice presidente del Gruppo Abele, la spiega così. “Il giocatore patologico in crisi può arrivare a rompere il salvadanaio del figlio, come ci è capitato di sentire in alcune storie di padri coinvolti. Padri che dovranno poi affrontare la vergogna di mostrarsi nudi e impotenti davanti al gioco“.

Il 19 e il 20 ottobre alla Certosa del Gruppo Abele (ad Avigliana, Torino), ci sarà un seminario sulle metodologie e i modelli di intervento nel trattamento delle famiglie di giocatori d’azzardo patologici, a partire dal lavoro su casi concreti. Una discussione per mettere in campo più strumenti possibili di intervento con psicologi ed esperti. Al centro del dibattito c’è la famiglia, le sue reazioni, i costi, le sofferenze.

Dopo la cura della patologia, o contestualmente, è di fondamentale importanza l’attivazione di reti di sostegno sociale sia istituzionali sia del volontariato. Di esperienze in campo ce ne sono già diverse, vanno sostenute e coltivate. Perchè se è vero che la forza del volontariato è abitare i luoghi di frontiera ed anticipare le risposte che una società sana dovrebbe dare, allora questa è oggi la frontiera da affrontare e su cui misurarsi.

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