Volontariato

Cooperare per accogliere

di Giulio Sensi

C’è un qualcosa di distorto nella comune espressione reclutare i volontari”. “Credo che valga la pena riflettere sul linguaggio usato per decodificare un po’ di quel sommerso culturale che denota un punto di vista, anche se spesso inconsapevole” commenta Cristiana Guccinelli, responsabile comunicazione del Centro Servizi al Volontariato della Toscana (Cesvot). Nel suo editoriale dell’ultimo numero della rivista online Pluraliweb, Guccinelli fornisce alcune considerazioni molto utili.

Tutti concordano su questo dato: i volontari sono il bene più prezioso di un’organizzazione di volontariato.

Alla voce ‘reclutamento’ -scrive Guccinelli- nell’edizione online della Treccani Enciclopedia italiana è scritto: “Il complesso delle operazioni con le quali si provvede alla raccolta e alla selezione di nuovi elementi (reclute) per le forze armate, se ne determinano gli obblighi di servizio, e si ripartiscono tra le varie armi, specialità e servizî (…). Nel linguaggio politico, come acquisizione di iscritti a un partito o a un’organizzazione sindacale: campagna per il reclutamento di nuovi iscritti.”

La differenza fra accogliere e reclutare deve essere ben chiara. Si reclutano soldati (che devono solo obbedire), si accolgono persone (che, su uno stesso piano dei più “anziani” possono crescere e far crescere l’organizzazione).

Centrale è il ruolo della comunicazione esterna “che -scrive ancora Guccinelli- non è che l’ultimo atto di un lavoro di riflessione interna con tutte le componenti dell’organizzazione. Essa dovrà far tesoro dell’identità dell’associazione e progettare azioni che la rappresentino di fronte al pubblico, soprattutto nei confronti di coloro che l’associazione avrà scelto come destinatari privilegiati del suo appello”.

Per questo lavorare sul reclutamento, …ops!, accoglienza dei volontari è prima di tutto un lavoro sull’organizzazione stessa, sulle sue persone. Su tutti i processi interni che portano all’azione dell’organizzazione stessa e al suo stato di salute.

È inutile negarlo: in Italia esiste un profondo problema di democrazia e partecipazione in tutte le istituzioni, e a tutti i livelli, e nei rapporti di lavoro. E’ un problema grave quanto quello del precariato.

È molto raro incontrare persone che, in organizzazioni anche minimamente complesse e stratificate, siano soddisfatte del grado di partecipazione alle scelte e alle azioni della propria struttura. E non è un caso che nella comunicazione pubblica si ponga molta enfasi sulle cariche di responsabilità e i media siano sempre più invasi da una “personalizzazione” estrema dei messaggi e delle notizie.

Non è solo un problema relativo al merito, ai processi di scelta e all’adeguatezza dei dirigenti: è una questione di organizzazione, di rapporti funzionali, di processi decisionali. E anche di rapporti umani. Riguarda direttamente pure le organizzazioni non profit.

Qualcuno, prima o poi, dovrà riconoscere che la qualità e la produttività delle organizzazioni non profit sono limitate in misura non trascurabile dai processi umani e funzionali poco collaborativi che molti dei suoi dirigenti instaurano con gli operatori e dalle reazioni inadeguate e poco costruttive che i “sottoposti” contrappongono.

Le eccezioni esistono, per carità, ed è frequente anche incontrare lavoratori del non profit soddisfatti del proprio posto di lavoro e delle relazioni che in esso si sviluppano.

Il tema è certamente enorme ed è molto prezioso il contributo che Vita ha appena pubblicato di Giuseppe Berta. “Vale più la cooperazione della leadership”: messaggio chiaro e con molti risvolti, anche economici. Sarebbe bello poter leggere una ricerca che spiega il danno economico e di immagine che il non profit riceve dalla scarsa collaborazione interna alle organizzazioni ed esterna con gli altri soggetti del territorio.

Cosa c’entra tutto questo con l’accoglienza dei volontari? Il valore umano è la “issue” più importante delle organizzazioni di volontariato. Rendersi conto che è strettamente collegata la qualità dei rapporti interni alle organizzazioni con la capacità di accogliere, valorizzare, crescere, rinnovarsi può essere una grande svolta anche per il volontariato. Un processo lento, che mette in campo molte variabili e tanti cambiamenti, non da ultima l’annosa questione del ricambio generazionale. Alcuni processi sono da forzare, altri arriveranno inevitabilmente con il tempo.

È urgente una messa in discussione radicale delle forme e dei modi di condividere pensieri e azioni. Nel nostro Paese pare che non stia più insieme nulla, nemmeno se incollato con il Super Attack. Ma nella Repubblica dei Lamenti una rivoluzione silenziosa è già iniziata. E’ la rivoluzione del cooperare, del saper cambiare le cose insieme. Forziamola.

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