6 agosto 1985. Mi segno questa data sullo smartphone e punto la sveglia sul 6 agosto 2013 mentre ascolto Don Luigi Ciotti snocciolare i pezzi di un puzzle da conoscere. Sono i pezzi che compongono l’enorme quadro della memoria per le vittime delle mafie. E’ il 19 febbraio, fa freddo e piove. Don Ciotti scalda i cuori di 500 persone venute ad ascoltarlo a Lucca. Ascolto la storia di un poliziotto, morto da volontario. Il suo nome è Roberto Antiochia: era in ferie il 6 agosto del 1985, dopo che aveva ottenuto il trasferimento a Roma per stare vicino alla mamma Saveria rimasta vedova. Era in ferie, ma decise di andare ugualmente e volontariamente a difendere la vita di Antonino, Ninni, Cassarà.
Ascolto la sua storia dalle labbra di Don Luigi Ciotti. Punto la sveglia al 6 agosto. Farà caldo e ci sarà il sole. Devo ricordarmi di ricordare un volontario.
Cassarà era il prossimo bersaglio della mafia dopo l’assassinio pochi giorni prima di Giuseppe, Beppe, Montana commissario della squadra mobile di Palermo, squadra di cui lo stesso Antiochia aveva fatto parte.
Una stagione forse meno conosciuta di altre della lotta alla mafia che vide in pochi giorni il sacrificio di molti uomini di Stato. Queste persone rischiano di essere dimenticate. Io avevo puntato la sveglia per non farlo: la memoria ha bisogno di sveglie per non essere inghiottita dalla banale quotidianità o dall’afa estiva e per far cresce donne e uomini migliori. Stamani la sveglia è suonata e nel promemoria c’era scritto Roberto Antiochia.
“Roberto è sempre con me. Ci parliamo, facciamo le cose insieme. È per questo che sono riuscita a fare tutto quello che ho fatto” disse la madre Saveria prima di morire nel 2001 dopo aver speso gli ultimi anni della vita a coltivare energicamente la memoria del figlio e delle vittime della mafia. Saveria è stata fra le fondatrici di Libera, una di quelle donne coraggiose e testarde che hanno scritto con i propri passi le pagine più belle della storia recente dell’Italia.
Saveria oggi non c’è più e l’ingiustizia più forte che la morte vorrebbe è la condanna al silenzio. Il modo più forte per reagire è continuare a parlare e a ricordare. Roberto aveva 23 anni quando venne ammazzato. Per l’omicidio suo e di Ninni Cassarà sono stati condannati all’ergastolo come mandanti Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Bernardo Brusca e Francesco Madonia.
Oggi avrebbe 51 anni. E’ morto da volontario, cercando di fare scudo sul corpo di Cassarà. E’ morto perché scelse di difendere l’Italia dall’assalto della mafia anche quando era in ferie. Forse il suo gesto ha qualcosa di grande da insegnarci. Basta ricordarsi di puntare la sveglia.
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