Volontariato

Ma il sangue dei precari?

di Giulio Sensi

La Fornero, nel senso della sua riforma, colpisce ancora titola oggi Vita.it. E la notizia è surreale: chi è andato a donare il sangue in orario di lavoro avrebbe, secondo l’Inps, perso giorni per la maturazione della pensione e il suo calcolo. È ingiusto, soprattutto perché lo si viene a sapere dopo. Ed è un altro degli effetti collaterali di un governo, quello di Mario Monti, che è stato incapace di guardare alle politiche sociali e al terzo settore con buonsenso. Pagando anche questa distrazione.

Ma questa notizia a scoppio ritardato pone degli interrogativi interessanti: è corretto chiedersi chi è che paga i contributi e i giorni di lavoro di tutti quei giovani, e non solo, che un lavoro fisso non ce l’hanno ed un contratto che preveda il riconoscimento a fini di contribuzione previdenziale della donazione del sangue non l’hanno mai visto. Questo non significa che non sia giusto, anzi doveroso, riconoscere quelle giornate di lavoro. Ed è opportuno che le associazioni della donazione difendano questo brandello di civiltà che è rimasto. Ma dovrebbe esserci anche altro.

Il problema non è irrilevante, perché apre il tema degli incentivi alla donazione del sangue che nel nostro Paese, vivaddio, non sono economici, ma possono essere di altra natura. Fa emergere una disparità di trattamento fra chi si presenta a donare il sangue con un lavoro e un certo tipo di contratto e chi vi si presenta da precario, disoccupato o lavoratore autonomo. Certo, si presuppone che chi ha contratti a progetto o lavori in proprio o a partita IVA abbia la flessibilità di organizzarsi il tempo per andare tranquillamente a donare, ma sappiamo che non è così e che buona parte della flessibilità in Italia nasconde rapporti di lavoro sostanzialmente subordinati.

In un mercato del lavoro che cambia in continuazione e non è più quello di 30 o 40 anni fa, il tema degli incentivi al donare il sangue dovrebbe essere ripreso in mano. E tenuto legato, naturalmente, al rapporto fra donazione e orario di lavoro, senza aprire ad incentivi di altro tipo fuori dalla logica del volontariato.

Riconoscere, in sostanza, che non ci può essere disparità di trattamento fra tutti i lavoratori che donano il sangue, il quale è lo stesso che provenga da un precario, da un disoccupato o da uno che ha un lavoro a tempo indeterminato. Oppure ammettere che come gesto gratuito può essere fatto tranquillamente fuori dall’orario di lavoro o chiedendo un permesso, visto che si ha anche il “privilegio” di avere un lavoro fisso. Questo è il dilemma. Ma sarebbe preferibile che passi indietro ad alcune situazioni da paese solidale e civile non venissero fatti. Perché sennò poi, piano piano, crolla tutto.

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