Volontariato

Il lavoro va pagato, ma non parliamo di volontariato

di Giulio Sensi

L’ultimo caso in ordine di tempo che fa discutere è relativo alla proposta nata all’interno della tenuta toscana di Sting di far fare un’esperienza di raccolta dell’uva in cambio di un pagamento di 262 euro al giorno. Come molti altri fatti di attualità, pare che la notizia sia subito sostituita dalle varie opinioni sulla notizia stessa che in parte la distorcono e le danno connotati differenti. Ma non facciamo troppo i sottili, limitiamoci a sottolineare che non è la prima né l’ultima manifestazione di quel genere: molti luoghi convinti di essere fighi propongono queste cose e in genere ci sono anche tante persone che accettano di pagare per farsi tali esperienze. 

Ci sono comunque molte possibilità sane per lavorare un periodo in campagna come il woofing o il workaway. Lì le persone prestano la propria opera in cambio di accoglienza e si generano esperienze positive.

Questa roba della tenuta di Sting non c’entra niente, così come non c’entra nulla con il volontariato che viene evocato da alcuni commentatori per sostenere un’argomentazione che in parte è anche vera: nel contesto di carenza drammatica di lavoro spesso si chiede alle persone, specie se giovani, di lavorare per farsi un’esperienza formativa per il curriculum, come scrive stamani su La Stampa Massimo Gramellini, senza ricevere nulla in cambio. O peggio ancora chiedendo qualcosa.

Spesso queste cose nascondono, è noto, forme di sfruttamento del lavoro che sono insopportabili perché non è una scelta, ma una costrizione per chi deve sceglierle pur di fare qualcosa e tenere attivo il curriculum. Molti scomodano il termine volontariato per criticarle ed è comprensibile perché il volontariato è una prestazione di opera gratuita a beneficio di altri ed è la parola più diretta per definirle.

Il tema è stato sollevato anche a fine luglio in occasione della presentazione dell’indagine Istat, Fondazione Volontariato e Partecipazione e CSVnet sulle attività gratuite a beneficio di altri. Rischiamo di trovarci però di fronte ad un grande equivoco che va a screditare il volontariato, intendendolo in questa negativa accezione, mentre i principi del volontariato sono ben altri e non hanno o non dovrebbero avere a che fare con lo sfruttamento del lavoro gratuito. Perché il volontariato è altra cosa dallo sfruttamento. La legge 266 lo definisce l’attività di volontariato “quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà”.

Fiumi di libri e articoli sono stati scritti sul concetto di volontariato e di dono, non è questa la sede per entrare nella teoria. Ma il mondo della solidarietà, del terzo settore, del volontariato dovrebbe difendere il termine dagli usi impropri, iniziando, magari, a difenderlo pure dai medesimi usi impropri che spesso all’interno del volontariato si fanno, trasformandolo in forme di lavoro sottopagato o pagato in modo diverso. Un tema enorme, di cui ci occupiamo da anni.

Vale per tutte le belle cose della vita: difenderle, rispettarle e usarle bene e con coerenza. A partire da quando ne parliamo.

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