Come non condividere la battaglia che il Corriere della Sera e il Tg La7 stanno portando avanti in questi giorni per denunciare “lo scandalo” dell’Iva pagata sulla ricostruzione della scuola di Cavezzo devastata dal terremoto. Il discorso è semplice: la tassa sulla solidarietà è fuori luogo perché quei soldi vanno a finanziare un’opera pubblica di utilità collettiva e per quello devono essere usati, a vantaggio dello Stato che peraltro ha già il vantaggio di non dover sostenere la ricostruzione stessa.
Non è uno scandalo, né una stortura di un sistema. È la legge italiana che impone il pagamento delle tasse, anzi la permette in forma agevolata (al 10%) proprio in virtù dell’interesse pubblico dell’opera. Non pagarla sarebbe evasione fiscale, cioè uno scandalo.
Rimane il fatto, più importante, che questo tema non riguarda solo né tanto il terzo settore e la solidarietà, ma riguarda tutti. Perché anche un ente locale, Provincia o Comune, che costruisce o ristruttura una scuola è soggetto a Iva e nemmeno la può scaricare perché non è un’azienda e non compensa. Ed anche un ente locale utilizza i soldi della collettività che poi tramite il pagamento delle tasse ritornano alla collettività.
Un problema che, per esempio, le aziende che gestiscono i servizi pubblici locali non hanno perché possono compensare il debito e il credito di Iva. Ma il volume di risorse necessarie è aggravato comunque, per quanto riguarda le opere di urbanizzazione primaria o secondaria, da quel 10% in più dell’Iva. Anzi, talvolta di più perché gli architetti di Renzo Piano non si sono fatti sicuramente pagare per il progetto della scuola di Cavezzo, ma la loro prestazione professionale, come è giusto che sia, sarebbe soggetta al regime massimo di Iva.
È stata l’Agenzia per le Entrate qualche anno fa a chiarire quali fossero le opere di urbanizzazione a cui applicare l’Iva agevolata. In modo peraltro stringente, visto che il regime di Iva agevolata è strettamente riservato ai casi previsti dalla Risoluzione n. 41/E del 20.3.2006 e può essere derogato solo dalla legge.
Il vicedirettore del Corriere della Sera Giangiacomo Schiavi conosce in profondità il bello e il brutto del nostro Paese. Ha raccontato questa storia con la solita chiarezza e correttezza, appellandosi ai decisori pubblici perché rimettano mano al regime fiscale che riguarda la solidarietà.
Questo caso specifico, e nella fattispecie la questione dell’Iva, è solo uno dei nodi fiscali da sciogliere per quello che viene definito il terzo settore. Perché se anche un soggetto del terzo settore come ad esempio una cooperativa “fa cose buone” allo stesso modo potrebbe porre il problema di derogare alle forme di agevolazione sull’Iva che ha nel portare avanti la sua attività. Insomma, non è facile capire da che parte prendere questa questione. Per essere più chiari: se il fine è solidale, allora si esentano dall’Iva tutte le attività che hanno fini solidali? Che differenza c’è poi fra costruire una scuola e ricostruirla dopo un terremoto?
Matteo Renzi ammise già chiaramente che è un tema difficile durante l’incontro con il Comitato Editoriale di Vita, definendo “un casino” la giungla fiscale delle deducibilità e detraibilità. E ha ragione il sottosegretario al lavoro e alle politiche sociali Luigi Bobba ad essere cauto perché l’Iva è un problemino assai delicato in tema fiscale e mette in campo le competenze del Mef.
Ma è un’altra occasione per vedere dove sarà capace di arrivare il governo Renzi. Resta così la speranza che la riforma del terzo settore, e tutti gli altri possibili provvedimenti, prendano in carico una volta per tutte le questioni fiscali, sancendo primariamente che la donazione di denaro a fini solidali nelle sue forme legittime e legali debba essere sempre incentivata. Così chi fa le leggi o governa il Paese può essere anche più credibile quando chiede o impone sacrifici.
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