Volontariato
Modus co-producendi: perché il volontariato è (anche) imprenditorialità
di Giulio Sensi
Anticipando alcuni dei temi su cui avrebbe poi orientato il dibattito al Festival del Volontariato di Lucca, Paolo Venturi scriveva che “il volontariato assume una valenza multipla: non solo locus della solidarietà e della reciprocità, ma anche locus per educare ad nuova imprenditorialità”.
Le motivazioni di questa conclusione risiedono nella considerazione della valenza pedagogica del dono e sul valore motivazionale, centrale nel volontariato, che è il motore del carattere generativo e quindi anche in una certa misura “imprenditoriale” del volontariato stesso.
Il tema de Le Giornate di Bertinoro 2014 è proprio il superamento della visione dualistica dell’economia (c’è un’economia che crea ricchezza e un’economia civile o sociale che la redistribuisce) per costruire un paradigma co-produttivo, nel quale l’economia civile dismette quell’alone assistenzialista e buonista per acquisire quella dignità co-produttiva che in parte, e con un processo faticoso, ha già conquistato sul campo.
Nell’ultimo anno la ricerca sociale sul volontariato ha elaborato e diffuso alcuni studi molto utili a cambiarne il paradigma di lettura. Le tematiche proposte da Le Giornate di Bertinoro solitamente hanno bisogno di diversi anni per essere acquisite e orientare l’azione diffusa dell’economia civile. Basta andare a vedere i temi degli scorsi anni per realizzare quanto i processi culturali innescati a Bertinoro vengono poi acquisiti e diventano spazio comune di prassi e lessico utilizzato.
E ci vorrà probabilmente del tempo per far sì che gli attori dell’economia civile realizzino di essere economia e non di dipendere dall’economia o dalle risorse pubbliche.
Quanto di questo cambiamento di paradigma sia consapevolizzato dal volontariato stesso è difficile da dire, ma esistono sicuramente diverse dimensioni e velocità che raccontano prima di tutto di un elemento centrale su cui sarebbe necessario un approfondimento: che gli stessi dualismi interni al terzo settore (cooperazione/volontariato, grandi centrali/piccole associazioni, scale locali/sovra-locali, natura pubblica/privata dei finanziamenti) sono sempre meno utili a comprenderne i meccanismi più importanti e innovativi.
Sull’ultimo numero di Vita, Giuseppe De Rita riflette sulla riforma del terzo settore proponendo il superamento della coesione sociale come “categoria ormai consumata”. “Semmai -aggiunge De Rita- può scommettere su una funzione di connettività, cioè di mettere in rete le intelligenze. Ma per fare questo deve fare un grande salto culturale, perché oggi il suo orizzonte è ancora troppo lontano da quello che è il terreno naturale dell’imprenditorialità”.
Occorre definitivamente distruggere il tabù della contrapposizione imprenditoriale/volontario (attenzione: non sto dicendo impresa/organizzazione di volontariato!).
E per fare questo occorrerebbe riflettere in profondità sulla contrapposizione profit/non profit. Non per superarla, non siamo ancora a questo punto e forse non lo saremo mai, ma per guardarla in modo non ideologico, ma pragmatico. In questo senso il volontariato stesso, se inteso non solo ma anche e primariamente come quel fenomeno strutturato che riguarda le organizzazioni costituite ai sensi della legge 266, è attraversato da cambiamenti profondi che hanno già scardinato i classici strumenti di lettura che la scienza sociale gli aveva affibbiato.
Un elemento su tutti lo dimostra: i dati più interessanti per leggere tali cambiamenti sono anche economici e non più prettamente sociologici. Emerge chiaramente, anche se è un dato strutturale di tutto il non profit, che già la fonte di finanziamento prioritaria è di provenienza privata e non pubblica (86,1% contro 13,9%, Censimento Istat sulle Istituzioni Non Profit); che il 66% delle entrate sono private (sempre Censimento Istat); che il non profit è sempre più orientato al mercato ( Censimento Istat); che la tenuta economica delle organizzazioni di volontariato dipende direttamente dalla sua capacità di differenziare le forme di finanziamento (Rilevazione Cnv/Fvp sulle Organizzazioni di Volontariato in Italia); che i nuovi progetti per rispondere ai bisogni del territorio sono avviati prevalentemente con risorse proprie (65,1%, sempre “Rilevazione Cnv/Fvp sulle Organizzazioni di Volontariato in Italia”); che l’affidabilità bancaria del volontariato è alta grazie alla sua capacità di reperire risorse -economiche, ma anche relazionali- a garanzia (“Le organizzazioni di volontariato in Italia – Tra performance economiche, caratteri strutturali e questioni di credito“); che il volontariato organizzato è una pratica consolidata nel tempo (nel 76,9% una persona vi si dedica da tre o più anni) e che il valore delle relazioni sociali è una delle motivazioni principali di chi fa volontariato (Attività gratuite a beneficio di altri, ricerca Istat, Fvp, CSVnet sulla misurazione economica del lavoro volontario).
Queste tracce di dati, ma ve ne sono molti altri, dimostrano che già il volontariato è un attore capace di mettere in campo nuove e proprie risorse per il benessere delle comunità in cui opera.
Vi sono anche altri dati che dimostrano la fatica e certi limiti storici e culturali difficili da superare: primo fra tutti l’incapacità ancora conclamata a fare rete con il privato e le altre organizzazioni di volontariato, mentre con il pubblico i rapporti -che siano di dipendenza o sulla carta co-produttivi- sono più diretti. Questo dimostra in una certa misura la pervasività della politica dentro il volontariato, ma su questo punto, qua appena accennato, meriteranno approfondimenti.
Sono processi di mutamento spesso apparentemente contraddittori. In definitiva mostrano chiaramente che la strada maestra per l’innovazione sociale è proprio il tema lanciato da Le Giornate di Bertinoro, ovvero il superamento del dualismo (che è anche piuttosto noioso da vivere e osservare per chi da anni critica il modello di sviluppo economico dominante) per l’assunzione del ruolo co-produttivo come modalità di azione.
Il punto dolente della catena co-produttiva, è inutile girarci intorno, è la debolezza disarmante del pubblico, in particolare delle amministrazioni locali. La sua incapacità a trovare e usare strumenti nuovi. In questo senso il mancato collegamento della riforma del terzo settore e quella della pubblica amministrazione è un segno di indebolimento reciproco a cui si dovrà in qualche modo porre rimedio. E forse è proprio impossibile sbloccare e far ripartire l’Italia senza assumere quella visione olistica del valore che può aggredire le diseguaglianze senza dovervi necessariamente intervenire a valle. Anche perché a valle ci si riesce sempre meno (anche se l’iniquità e l’inefficacia del welfare sociale è un altro tema campale).
Come già scritto altre volte, c’è da fare per lunghi e interessanti decenni. Arrivederci a Bertinoro!
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.