Volontariato

L’arte della marchetta

di Giulio Sensi

Dunque è inutile girarci intorno: tutti quelli che fanno il nostro lavoro di comunicatori, pure nel non profit, hanno molta dimestichezza con la marchetta. E pure molti giornalisti di ogni estrazione e appartenenza. Ma purtroppo hanno un rapporto ancora irrisolto con lei. Un odio amore che preoccupa o logora. Per carità, chiariamo subito una cosa: il termine è orribile, si riferisce al mondo della prostituzione e spesso viene usato volgarmente. Ma è talmente efficace, quando usato nel giornalismo, che per esprimere il concetto non ne ho trovati altri. Mi perdonerete. Perché al giornalismo si addice, appunto, troppo bene.

C’è sempre una non notizia da far uscire, un segnale da dare a qualcuno, un’opinione banale da far apparire, un argomento utile da trattare, un tappeto rosso da stendere per mille e mille motivi. Perché in un contesto di risorse scarse, pure la visibilità assume sempre più un valore politico ed economico. Anche se non monetario. Perché la marchetta si crede così nobile da fuggire il denaro, anche se ha ben presente il suo valore. Non a caso era quel che era, un surrogato del denaro.

E allora, cari amici e cari colleghi, esimi tromboni o validi operatori del giornalismo e della comunicazione, inutile fare finta di nulla. Chi più, chi meno, siamo tutti almeno una volta nella vita portatori di un messaggio poco attraente che deve diventare sexy, molto sexy. Provocante direi. Pure il direttore del più importante giornale.

E siamo tutti, amici addetti stampa -parliamo di uno dei mestieri più logoranti del mondo- ad elemosinare attenzione su contenuti che ai nostri capi sembrano vitali, ma meriterebbero l’oblio mediatico. Dunque vi do una buona notizia: anche la marchetta è un’arte. Vi propongo di farla bene, perché così funziona meglio, non svilisce la professionalità e ripudia quel senso di viscido che molte marchette o articoli sotto dettatura hanno nel panorama del giornalismo e della cronaca italiani. È quello “sociale” mica è da meno.

Ecco qua alcune regole che la mia non trascurabile esperienza in comunicazione mi ha fatto maturare:

Regola numero 1: far comprendere ai nostri superiori -perché noi comunicatori facciamo finta di contare poco, ma contiamo molto- che QUELLA è una notizia che non interessa potenzialmente a nessuno. Realismo e schiena dritta perbacco, il superiore, se non è ottuso, capirà. Anche perché lui la fa molte volte per conto terzi. L’entusiasmo lasciamolo per cose più importanti e la piaggeria invece lasciamola proprio perdere. La giusta dimensione della marchetta verrà così assunta da subito. Se la si deve fare si fa, ma senza ipocrisie.

Regola numero 2: messa in chiara la dimensione della marchetta, cerchiamo di accettarla e non nasconderla. Tale è e tale rimane, il trucco che gli si sparge sopra non deve renderla una caricatura di se stessa, come accade a certe signore attempate che si manipolano all’inverosimile per sembrare più attraenti. Già la marchetta è bruttina di suo, se poi gli si accentuano i difetti allora siamo finiti. Acqua e sapone, la marchetta deve essere così.

Regola numero 3: una volta accettata la marchetta, cerchiamo di indagare se nei suoi meandri vi sia qualche elemento di interesse. Un po’ di fiuto comunicativo, se non giornalistico, di interrogare il nostro dettatore di marchetta per vedere se esista qualche dato, qualche elemento di attualità, qualche parola chiave, qualche appiglio ad una certa notiziabilità che la renda meno marchetta. Oppure semplicemente una bella foto da accompagnarvi. E, mi raccomando, un bel titolo non buttato lì superficialmente, ma ben pensato e dosato.

Anche se marchetta rimane. Niente paura anche qua: schietti e sinceri, quello che mandiamo alla stampa, scriviamo o comunichiamo non lo decidono i superiori. Abbiamo il dovere professionale di filtrarlo. E di fare un lavoro giornalistico o comunicativo fatto bene. Spiegando, ad esempio, ai nostri superiori, sopratutto se sono politici, che il loro ego non fa notizia. Soprattutto se nessuno li conosce.

Regola numero 4: una volta spremuta la marchetta, cerchiamo di confezionarla dignitosamente. Non significa truccarla, appunto, ma perlomeno scriverla bene. Se è un comunicato stampa la si componga coi crismi di un comunicato ben fatto -una vera rarità, soprattutto nell’informazione del non profit- con la notizia, o la sua parvenza, ben in evidenza. Insomma, anche se è una marchetta ha il diritto di essere curata come se fosse una notizia. Anzi meglio, perché è un oggetto svantaggiato che però porta vantaggi.

Regola numero 5: dopo averla scritta bene, cercare di spenderla senza inganni. Se è un comunicato da inviare alla stampa è inutile gettarlo al vuoto oppure raccomandarlo come se fosse la notizia di apertura di un giornale. Sincerità: “pronto, ciao, ti sto mandando un comunicato, non c’è una grossa notizia dietro, ma mi farebbe molto comodo e piacere fosse pubblicato. Fai quello che puoi e grazie per l’attenzione“. Potrebbe essere una telefonata onesta per raccomandare una marchetta. Se invece è un articolo da far uscire sul tuo giornale, meglio evitare imbarazzi ed essere sinceri: spesso le marchette vengono fatte in amicizia e l’amicizia è una cosa bella di cui non vergognarsi.

Regola numero 6: reazione neutra al destino della marchetta. Se riesce bene non prendersene i meriti, se fallisce cercare di capire, e soprattutto di spiegare, il perché. Inutile e dannoso gasarsi o frustrarsi, come peraltro dovrebbe essere sempre sul lavoro, specie quello di comunicazione. L’elettroencefalogramma della marchetta nasce piatto, non può schizzare quando inizia a camminare. Anche perché vive di spinte.

Regola numero 7: non insistere. Se non riesce, inutile riproporla come una minestra riscaldata. Semmai far passare tempo e rifarla diversa, se proprio non si può lasciare perdere, qualche giorno dopo. Ai superiori occorre spiegare bene che quello che preme a loro spesso il mondo non se lo calcola. Ed è giusto che sia così. I giornalisti non sono cattivi né buoni, seguono alcune logiche oppure altre. È il fatto che non ci piacciano le loro logiche o le loro condotte non significa che debbano essere odiati.

Sono sette regole che possono essere applicate alla filiera produttiva della marchetta. Ne possono esistere mille altre. Ma la dignità e la professionalità sono sempre da mantenere, anche quando esiste una ragione superiore, dalla quale spesso dipendiamo, che tende a far incurvare la schiena. Perché anche la marchetta in fondo, come tante altre cose anche peggiori, è un arte. Maledetta, ma terribilmente di moda.

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