Sembra tutto pronto perchè le trivellazioni nella zona dei Campi Flegrei, l’ampia area vulcanica a ovest della città partenopea, comincino nei prossimi giorni. Proprio ieri, infatti, il cantiere è stato installato sul terreno appartenente all’azienda municipalizzata BagnoliFutura, nonostante le tante polemiche che negli ultimi anni hanno coinvolto il progetto.
Un progetto, il Deep drilling project, che prevede la perforazione profonda del terreno, e che ha come finalità quella di approfondire la conoscenza e monitorare le attività della caldera dei Campi Flegrei. In questa prima fase le operazioni prevedono una prima trivellazione che raggiunga i cinquecento metri di profondità, attività per la quale sono stati stanziati fondi di ricerca dall’AMRA e che è stata comunque molto discussa dalla comunità scientifica, oltre che dai cittadini della zona.
PERCHE’ SI – A quanto pare, in realtà, trivellazioni a queste profondità non presentano grossi rischi, dal momento che la casistica di aumento della sismicità, di emissioni gassose, di piccole esplosioni dovute al contatto tra gas diversi, è piuttosto bassa a questi livelli. Si tratta, dicono dal fronte del si, di una operazione di routine, che presenta esclusivamente i cosiddetti “rischi di cantiere”, per i quali sono stati presentati regolarmente i piani di sicurezza.
PERCHE’ NO – Il problemi, secondo gli oppositori, sono due: in primo luogo, c’è chi contesta le bassissime percentuali di rischio presentate dai promotori del progetto, e quindi vorrebbe che ai piani di sicurezza per il cantiere, il comune di Napoli si preoccupasse di coniugare quelli di evacuazione per i cittadini, almeno dei quartieri di Bagnoli e Fuorigrotta. L’obiezione più grande, però, è quella riguardante la seconda fase del progetto, che prevede trivellazioni fino a quattro chilometri di profondità, con un rischio a questo punto decisamente alto, come insegnano i casi storici nel campo, a cominciare dalle potenti scosse sismiche prodotte a Basilea, nel 2006, da un progetto di analisi geotermica.
Se è vero, però, che i fondi per la seconda fase del progetto non sono ancora stati stanziati, né tantomeno richiesti, è anche vero che una eventuale trivellazione “intensiva” preoccupa abbastanza i cittadini, oltre che diversi studiosi, in un territorio delicato e ad alto tasso vulcanico come quello in questione. Poco utile, peraltro, sarebbe fermare le operazioni di trivellazione soltanto alla prima fase, dal momento che la stratigrafia del terreno a quelle profondità è già praticamente nota.
Perché scavare, quindi? Lecito chiederselo. Per capirlo, probabilmente, è necessario fare un passo indietro nel tempo, quando il progetto fu presentato all’allora sindaco Iervolino, che ne rimandò l’attuazione trovandosi a fine consiliatura. In quella fase, infatti, fu detto in maniera chiara che la finalità del Deep drilling sarebbe stata la costruzione di un impianto geotermico, senz’altro una risorsa, ma una risorsa che avrebbe rischiato di compromettere il lungo e laborioso processo di riqualificazione dell’ex area Italsider, un processo che prevede su tutto la nascita di un immenso parco naturale, ma che appare ancora in fase embrionale, da vent’anni a questa parte.
Solo l’immediato alzarsi di voci decisamente contrarie all’impianto geotermico, fece si che la mission (come si dice oggi) delle trivellazioni fosse modificata, e trasformata esclusivamente in un percorso di analisi e approfondimento scientifico.
Le domande a questo punto arrivano una dopo l’altra: chi è in grado, oggi, in città, di spiegare in maniera chiara quali sono gli obiettivi a lungo termine delle trivellazioni? Chi è in grado di garantire sui rischi (contenuti, ma presenti) che la popolazione potrebbe correre nel corso delle operazioni a cinquecento metri, e ancor di più su quelli (elevatissimi) che comporterebbe uno scavo a maggiore profondità? Chi è in grado di garantire sugli sviluppi della seconda fase del progetto e sui piani di evacuazione? Allo stesso tempo, chi avrà intenzione di esporsi per evitare che il progetto di una centrale geotermica non risalga a galla nei prossimi anni, in una fase in cui l’amministrazione comunale continua a promettere evoluzioni sensazionali per il rilancio dell’area ex industriale, ma dimostra di dover fare i conti quotidianamente con una mancanza di risorse, e talvolta anche di volontà?
Sarebbe bastato poco, in realtà, per mettere ordine nella questione. Una conferenza stampa, un percorso di comunicazione chiaro, capace di coinvolgere i cittadini (che pure hanno creduto alle promesse “partecipative” ricevute in campagna elettorale), qualsiasi cosa capace di rassicurarli e spiegare alla ricerca di cosa, e con quali finalità si intende scavare. L’assenza totale di tutto ciò, al contrario, ha contribuito a creare una confusione e una tensione sulla questione, che sembra tutt’altro che prossima ad affievolirsi.
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