A fine luglio due funzionari della casa d’aste Christie’s si sono presentati al Dia, il Detroit insitute of art con un compito insolito e davvero inquietante: fare una valutazione delle collezioni del museo. A differenza di gran parte dei musei amwricani, quello di Detroit appartiene al comune. E siccome il 18 luglio il comune ha dichiarato fallimento per un buco di 18 miliardi di dollari, i creditori ora stanno usando tutti i mezzi pur di riprnedersi il loro. Tra i mezzi escogitati c’è anche la vendita dei tesori che il Museo nei suo 150 anni di storia ha saputo mettere insieme. In tutto sono 60mila opere. E non sono cose da poco: c’è anche un Caravaggio (Marta e Maria), ci sono quattro Van Gogh (tra cui il primo entrato in una collezione americana), Tiziano, Velazquez, una manciata di Cézanne, un capolavoro assoluto di Matisse e così via. Dalla indagine dei due funzionari della casa d’aste sarebbe emersa anche una valutazione complessiva: 4 miliardi di dollari. È stata fatta anche una valutazione su solo 38 capolavori, che ha portato a una cifra di 2,5 miliardi. Tutto sommato poco rispetto alla cifra del debito complessivo. Per questo il city’s emergency manager della città di Detroit, Kevyn Orr, avrebbe chiesto un supplemento di indagine a Christie’s che si è riservata di dare una risposta più dettagliata entro il prossimo ottobre, con un compenso per la valutazione di 200mila dollari. Del resto un art dealer newyorkese, Todd Levin, ha detto che la valutazione reale oscilla tra i 10 e i 20 miliardi. L’idea che un museo possa vendere i suoi tesori per venire incontro a necessità pubbliche più impellenti è qualcosa che ha impressionato e ferito i più. Spesso è accaduto che istituzioni private abbiano venduto pezzi delle loro collezioni: il più delle volte per girare poi i soldi in altri acquisti, ma è anche accaduto che la vendita sia stata obbligata per ristrettezze di bilancio.
Ma il caso di Detroit è decisamente diverso e anche allarmante. È chiaro che difficilmente si arriverà a una soluzione così choccante, ma il semplice fatto che sottobanco l’ipotesi sia stata ventilata deve far pensare. Il Chapter 9 la procedura prevista dal governo federale per assistere le municipalità in fase di ristrutturazione economica a seguito di bancarotta – non prevede l’obbligo di vendita dei beni artistici per rastrellare capitali.
E quindi dovrebbe tranquillizzare. Ma ultimamente si è fatta largo un’altra ipotesi: anziché vendere al dettaglio alle opere, che rappresenterebbe una disgfatta morale, privatizzare il museo anche per venire incontro ad un altro problema: quello del pagamento di chi lavora nel museo stesso. Essendo di proprietà comunale vive un problema di liquidità anche perché il suo budget non è cosa da poco: il museo costa 35milioni di dollari l’anno. Intanto è stata lanciata una petizione “Make the Detroit Institute of Arts a National Monument” che ha l’obiettovpo dell 10mila firme (ed è vicinissima all’obiettivo).
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