Di Pietro Barcellona, morto oggi a 76 anni, ho il ricordo di un uomo limpido: l’avevo incontrato dopo averlo tante volte sentito al telefono per interviste, pareri o per chiedergli articoli, nella sua casa appena nell’entroterra di Catania. Una bella casa, semplice in mezzo al verde di un giorno in cui, con le finestre aperte, si seguiva l’avvicinarsi di un temporale rinfrescante. Parlò della sua malattia che lo costringeva a cure continue; ma ne parlò senza nessuna ansia e senza nessuna recriminazione nei confronti del destino. La malattia era un disturbo, perché lo intralciava nelle tante cose che gli sarebbe piaciuto fare e scrivere. Parlammo di tutto, ma era quasi sempre lui a fare domande a voler sapere di Vita, di Milano, dello stato di salute del non profit e soprattutto dei giovani. Iniziò a parlare di se stesso quando scoprì la mia passione artistica, perché rivelò lui stesso di avere la passione per la pittura. Dipingeva, per divertimento, ma con grande continuità e dedizione. Gli dissi che sarebbe stato bello un giorno fare una mostra a Milano, ma lui si schernì. Mi fece anche vedere alcuni suoi quadri, che nella loro libertà e semplicità raccontavano molto di lui: quadri nella scia di quell’altro grande sicilinao che era stato Guttuso, di cui era stato amico oltre che compagno di partito nell’allora Pci. Quadri che raccontavano di un uomo innamorato delle cose e della realtà. Barcellona aveva qualcosa che lo differenziava in modo radicale dell’intellettuale tipo dell’Italia di oggi: non era stato minimamente intaccato dal narcisismo.
Ma quello che di Barcellona mi è rimasto soprattutto impressa è stata la sua spassionata attenzione per i giovani. Un’attenzione aperta, senza riserve e soprattutto senza pretese. Non vedeva mai il “problema giovani” ma la bellezza dell’essere giovani, dell’essere in cammino; era uno dei pochissimi ancora capaci di guardare alla condizione giovanile come un’opportunità, nonostante tutto, e non come una sfiga. S’illuminava come il maestro che guarda in faccia i suoi allievi e sembra immaginarne già il cammino. Si rendeva disponibile ad incontri, a dialoghi, lasciando da parte ogni formalismo, mettendo al servizio di chi ascoltava la sua intelligenza. Sembrava che in questa fase estrema della sua vita, consistesse in questo il suo concepirsi un intellettuale.
Bacellona era a sua volta giovane di animo. E con la libertà di un giovane ad un certo punto aveva rotto il suo percorso culturale a sinistra per avvicinarsi ai giovani cattolici e comunque al cattolicesimo. Non voleva parlarne in temini personali, perché capiva che così diventava una faccenda da gossip. Invece lo interessava il cattolicesimo, perché vi vedeva quello stare dalla parte dei vinti, dei poveri, dei deboli che era stato un tempo un segno distintivo della sinistra. Così di amicizia in amicizia si era davvero avvicinato alla chiesa, senza rinnegare niente della sua storia, di intellettuale comunista, con un passato politico di grande valore, un cultura giuridica raffinata che l’aveva portato ad essere anche membro del Csm. Altri tempi e altra Italia: ma Barcellona era un baluardo dell’Italia che vorremmo e che amiamo. Per questo continueremo a leggerlo e a sentirlo come un vero maestro.
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