Cultura

La Gioconda torna tra noi

di Giuseppe Frangi

È forte la campagna che la Fondazione Ant ha immaginato sotto la direzione creativa di Stefano Ginestroni, dell’art director Lorenzo Guagni e della copywriter Lisa Cecconi. Vi si vede una Monna Lisa, privata dei capelli, con operazione di fotoritocco molto ben fatta e claim molto efficace: «Un tumore cambia la vita. Non il suo valore». È forte paradossalmente non solo nella prospettiva degli obiettivi giustissimi che Ant si propone. Ma è forte anche per gettare uno sguardo meno banale su quel capolavoro misterioso che a buona ragione si può definire il quadro più famoso del mondo. Alla Gioconda è toccato, come ad altre immagini famose (il David di Michelangelo, La Ragazza con gli orecchini di perla di Vermeer, i Girasoli di Van Gogh…) il destino di trasformarsi in feticci: chi è andato una volta al Louvre sa cosa comporti essere travolti da questo destino. Si vive chiusi in scatole sigillate, in condizioni di massima sicurezza, osservati non per quel che si è ma per il mito che circonda l’oggetto. La gente s’affolla, fotografa, si fotografa con il quadro lontano sullo sfondo. “Guardare” la Gioconda non solo è complicato, è anche un optional non essenziale. Importante è essere stati là dove la Gioconda era. Non a caso attorno a questo quadro diventato feticcio era intervenuto con i suoi slittamenti iconografici Marcel Duchamp, con il suo sarcasmo Dalì, con la sua energia iconica Andy Warhol. Tutti, verrebbe da dire, erano corsi al capezzale della Gioconda, diventata ormai oggetto inerte, per quanto divinizzato.

L’operazione di Ant, nella sua efficacia brutale, costringe a guardare nuovamente la Gioconda. In un certo senso a riscoprirla. Con l’escamotage di liberarla dai capelli, emerge la forma del volto; si nota di più anche quell’incredibile paesaggio che affonda in uno spazio liquido e infinito. Se dopo aver visto questa immagine restituiamo alla Gioconda i suoi capelli (non all’altezza del personaggio, per la verità…) certamente la scopriremo più interssante e soprattutto, finalmente, ci intersserà di più guardarla che non “fotografarla”.

 

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