“The humble touch”, “il tocco umile”: così ieri il New York Times titolava un lungo articolo, pubblicato in apertura di giornale, dedicato alle ultime scelte di papa Francesco. Il “tocco umile” secondo il grande quotidiano americano è quello con cui Bergoglio sta rimescolandole cose in Vaticano. La formulazione è davvero sintetica e perfetta, e sta a monte di tutte le valutazioni in termini di politica ecclesiale che si possono eventualmente fare. “Umiltà” è certamente una delle caratteristiche che sta segnando questo pontificato. Una caratteristica che balza all’occhio di tutti e che a volte prende persino di sprovvista gli interlocutori. Come ha scritto Sergio Romano, autorevole firma laica del Corriere, «la domanda con cui il Papa ha risposto ad un quesito sulle coppie omosessuali (“chi sono io per giudicare?”) continua a girare per il mondo, da un giornale all’altro».
Ma insieme all’umiltà c’è anche il “tocco”. Una parola che indica capacità di decidere, di assumersi la responsabilità di scelte che cambiano lo status quo. Francesco quindi non rinuncia ad amministrare, anche con “fermezza”, come sottolinea il titolista del New York Times, il potere che la sua condizione gli assegna. Tante sue scelte sono scelte forti. Scelte anche un po’ spiazzanti come quella per il nuovo segretario della Cei, scovato in una piccola diocesi calabrese, e nominato per quanto fosse solo il terzo l’interno della triade sottoposta al Papa. La chiesa di Francesco si configura sempre più come una chiesa retta da pastori “umili”, che hanno battuto le periferie più che i palazzi, che non hanno avuto il complesso di essere marginali, perché si sono sempre comunque sentiti “pastori”, cioè uomini alla testa di un gregge, piccolo o grande che fosse.
Ma come possono stare insieme due modi di fare che sembrerebbero antitetici? Come si può essere umili esercitando, anche con decisione, un’autorità? È in questa capacità istintiva di far convivere degli opposti, o apparenti tali, che sta una delle novità più straordinarie del pontificato di Francesco. È un nuovo modo di attuare l’esercizio del potere, che ovviamente non riguarda solo la chiesa, ma che diventa parametro che inevitabilmente finisce con il “giudicare” qualunque altro personaggio chiamato ad esercitare il potere, in qualcunque ambito. Francesco, con questo suo stile, non demonizza il potere, ma lo costringe a giocare a carte scoperte. Dimostra che si può esercitare pienamente il proprio ruolo senza mettere distanza tra ciò che si dice e ciò che si fa. Francesco convince in ogni sua scelta perché sono scelte che corrispondono a quel che lui dice; perché archivia senza esitazione tutti i vecchi formalismi.
Ma c’è un altro aspetto importante per capire questo stile di Francesco. E lo ha rivelato lui stesso il giorno dell’Epifania, nel discorso fatto durante la visita alla parrocchia di Sant’Alfonso de’ Liguori, alla periferia di Roma. Il papa ha suggerito a tutti di avere come riferimento i Magi, che resi consapevoli delle intenzioni reali di Erode, evitarono di passare da lui per dargli le informazioni su Gesù che aveva chiesto. «Bisogna coltivare questa furbizia spirituale che sa coniugare semplicità e astuzia», ha commentato Francesco. «Quella scaltrezza spirituale che ci consente di riconoscere i pericoli e di evitarli». Lui, naturalmente, ha fatto propria questa indicazione; per questo il “tocco umile” di papa Bergoglio non è mai ingenuo. Umile non vuol dire affatto ingenuo. All’opposto, quella di Francesco è un’umilità coraggiosa. Di cui tutti, cattolici e non, non possiamo che essere istintivamente grati.
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