Cultura

Il papa e Freud

di Giuseppe Frangi

«Sigmund Freud diceva, se non sbaglio, che in ogni idealizzazione c’è un’aggressione». Lo dice papa Francesco nell’intervista rilasciata a Ferruccio De Bortoli e pubblicata sul Corriere della Sera a su La Nacion di Buenos Aires, in occasione del primo anno di pontificato (ne parla a che Franco Bomprezzi nel suo blog). Che un papa citi Freud è già sintomo di apertura mentale e di apertura al nostro tempo. Ma la cosa ancora più significativa è che lo citi con un’affermazione come questa. Il vedere nell’idealizzazione una minaccia, spiega la straordinaria libertà di questo Papa rispetto ai media. Quella libertà che gli permette con assoluta naturalezza di affrontare ogni situazione e ogni intervista, senza farsi problema davanti a nessuna domanda. Mi spiego: c’è stata una lunga stagione in cui il pontificato è stato enfatizzato mediaticamente, trasformato in attore di primo piano del grande spettacolo globale. Oggi Papa Francesco ha raffreddato in modo drastico questo ruolo del papato, tanto da definirsi in primis vescovo di Roma («Non mi aspettavo questo cambiamento di diocesi», dice con una sottile ironia oggi nell’intervista al Corriere). Ma l’accenno così tagliente e realistico al rischio di ogni idealizzazione, va aldilà della concezione del proprio ruolo. È una cosa che riguarda da vicino il modo con cui la cultura di oggi devia le aspettative degli uomini su figure mitiche, anche fossero figure buone. Ma così facendo, oltre ad esporsi al rischio di cocenti delusioni, si subisce un senso di impotenza: impossibile raggiungere il livello eorico dei personaggi idealizzati.

Francesco è molto pragmatico, è uomo che conosce le regole del mondo per cui sa come non farsi intrappolare. E sa che l’idealizzazione del suo ruolo è la trappola più pericolosa perché distoglie le persone dalla necessità di una responsabilità di ciascuno, verso un rinnovamento della chiesa e poi verso un necessario superamento delle sperequazioni economiche e e sociali che segnano il mondo d’oggi.

Francesco è il contrario dell’one man shaw, e la straordinaria simpatia umana che riscuote e che lo ha “costretto” per  tutto l’inverni a tenere le udienze di mercoledì in piazza San Pietro per rispondere alle richieste, è qualcosa di potentemente altro rispetto al profilo della star. Francesco insomma, con la sua concretezza, tiene i media a stecchetto. Non permette spettacolarizzazioni, né strumentalizzazioni. Ma come in ogni cosa, Francesco apre strade percorribili da tutti: e così questo modo di tenere a bada i media, di non farsene cooptare mentalmente diventa pratica attuabile per ciascuno.

Certo ci vuole quella scaltrezza che non a caso Gesù auspicava nel Vangelo. Alla domanda trabocchetto sul perché abbia rinnovato il passaporto argentino, Francesco ha risposto seraficamente: «L’ho rinnovato perché scadeva». E a quella sul possibile viaggio in Argentina, domanda che implicava l’idea di un viaggio trionfale e celebrativo, Francesco spiega che sì gli piacerebbe tornare in patria per trovare sua sorella malata, ma «questo non giustifica un viaggio in Argentin: la chiamo per telefono e questo basta». Anche Freud applaudirebbe.

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