Provo un qualche sgomento nel vedere molti Sindaci delle maggiori città attratti dalla palude della coazione a ripetere, per la Treccani “tendenza incoercibile, del tutto inconscia, a porsi in situazioni penose o dolorose, senza rendersi conto di averle attivamente determinate, né del fatto che si tratta della ripetizione di vecchie esperienze”. Secondo i manuali di psicologia, una delle cause prevalenti della coazione è una sorta di ‘sindrome abbandonica’ legata ad esperienze dell’infanzia, ma molti di quei Sindaci vengono da famiglie importanti, presumibilmente attente alla cura dei figli. Perchè, allora, prevale nei Sindaci la tendenza citata e ne registriamo una costante oscillazione tra alti lai (certo giustificati) per la crisi della finanza pubblica ed una rassegnata subalternità al potere della finanza privata (e ,cosa ancor più grave, al potere di quella “mista” sviluppatasi negli ultimi decenni con la degenerazione dei Servizi Pubblici Locali “privatizzati” senza vera liberalizzazione)?
Do per scontata, e da combattere, la de-Costituzionalizzazione in atto a livello centrale italiano e certo non mi sfugge che stiamo vivendo una vera e propria guerra/scontro di potere globale combattuta prevalentemente (sin qui) con le armi della finanza ma qui voglio esprimere la forte perplessità che genera in me la patente carenza,anche alla scala dei Governi locali,di anticorpi della critica così come di enzimi di progetto . Non riesumo la diatriba sul senso dei programmi che portò a ridicolizzare quello redatto dalla Fabbrica prodiana a metà 2000, ma sono basito nel vedere Milano, Genova, Napoli, Parma (a Roma si vedrà..) balbettare in tema di missione e configurazione delle multiutilities, mantenendo con ricchi emolumenti al loro posto ed ossequiandoli chi le ha zavorrate di debiti enormi, generando dividendi tramite l’aggressione alle riserve o pareggi di bilancio con giochetti immobiliari che non promettono nulla di buono. L’intervento di Papa Francesco sullo IOR non ha loro suggerito alcuna emulazione? Non vedo nessuno di quei Sindaci esigere dalla liquidissima Cassa Depositi e Prestiti assi per finanziare lo sviluppo smart delle loro città, ma li vedo tutti sperare nel salvataggio da parte di F2i delle multiutilities stesse, senza alcun moderno piano industriale di sapore europeo ed anzi con idee (es. rifiuti) fuori dalle norme europee. Ancora, non vedo azioni anche pesanti per portare a livelli accettabili l’attuale 17% di capacità nazionale (e locale) di utilizzo de i fondi provenienti dalla Unione Europea; anzichè fare trasferte a Bruxelles o aprirvi sedi, bene sarebbe agire su progettualità e relativa capacità di spesa (ne sa qualcosa l’amico Barca, l’unico ad aver provato seriamente ad animare in tal senso le realtà locali, durante l’esperienza ministeriale).
Dovrebbe pur essere chiaro a quei Sindaci che l’unico sviluppo possibile per questo Paese e per le sue città è quello sostenibile che mira alla qualità ambientale di territori, processi produttivi e prodotti come fattore competitivo sui mercati globali. Sconcerta leggere che Pizzarotti esca da un incontro con Pisapia affermando che non vuole limitarsi ad essere il “cane da guardia del potere”: alla lettera, sarebbe un’ovvietà, essendo il cane da guardia asservito al suo padrone, ma Pizzarotti probabilmente intendeva dire del suo rifiuto di “accendere i fari per svelare le manovre del potere”, criticandole concretamente nel merito ed imponendo nel proprio ambito di governo progetti alternativi a quelli che hanno sin qui affossato la sua città, aprendola anche al potere canceroso della economia criminale, come ormai in tutta la Valle del Po. Quella funzione di “accensione”, però, costituiva l’essenza del programma elettorale del Movimento5Stelle : fino a prova contraria, “pacta sunt servanda”, soprattutto con i cittadini che ti votano e che non chiedono miracoli, ma neppure remissiva impotenza a fronte dei fenomeni degenerativi indotti dalle precedenti Amministrazioni, perchè il manovratore (in primis i poteri finanziari) va disturbato , eccome .
Tra passato e presente , il politicismo tipico di certa cultura della sinistra italiana (il primato della politica) fece fallire i pochi tentativi di riempire di contenuti non generici le piattaforme programmatiche: pochi ricorderanno, al riguardo, il caso del “Progetto a medio termine” a fine ’70 ,della cui gestione il PCI incaricò Luciano Lama, uscito dalla CGIL. Oltre generici slogans sull’esigenza di Piani di settore non si andò e dell’elaborazione non rimase traccia: in quella sinistra prevaleva lo schema “consulenza al politico da parte di intellettuale/specialista amico, fedele ed affidabile” (termine ormai sconcio) ed era normale considerare “politica non alta” l’occuparsi di sanità, ambiente, trasporti, questioni settoriali seguite da dirigenti non di primo piano con l’ausilio dei “consulenti amici” sopra citati.
È invece bene, oggi più che mai, che l’avere un chiaro retroterra programmatico venga percepito come esigenza imprescindibile: a Bologna ancor oggi ha valore il Libro Bianco che Achille Ardigò coordinò con importante percorso partecipativo a supporto della forte campagna per Giuseppe Dossetti Sindaco a metà ’50, ove si esplicitava una ‘vision’ di città di una impressionante modernità . Deve essere altrettanto chiaro che si può avere un eccellente apparato analitico della realtà di partenza ed un altrettanto eccellente corpo di obiettivi generali per quella futura che si intende costruire, ma se mancano idea e capacità gestionale di macchina amministrativa di governo, dall’analisi non si arriva mai agli obiettivi. Qui casca l’asino. Ad esempio, cosa si sta davvero facendo per evocare in logica di economia sociale di mercato il potenziale umano ed anche di risorse finanziarie presente nella società, per nuove sussidiarietà che creino alternative al buco della finanza pubblica?
Corre l’obbligo di ritornare, in tema di macchina di governo, al come sia fallita la logica delle ‘Bassanini’ in cui molto si credette: si dovevano distinguere la politica dalla burocrazia, cui delegare autonomia gestionale (potere di firma) a fronte di importanti remunerazioni, quota delle quali sarebbe stata erogata dopo attenta verifica dell’avvenuto conseguimento di obiettivi misurabili. Nella buona sostanza, a posteriori registriamo come, in assenza di meritocratici concorsi nazionali per redigere elenchi di idonee/i per alti compiti amministrativi (e in assenza di una ENA italiana) i grand commis/boiardi in gran parte provenienti da percorsi politicamente assistiti mantengano posti e alti salari in un regime di controllo degli obiettivi poco più che formali, vedendo incrementato il proprio potere negoziale dalla esclusiva sulla “’firma degli atti”.
Le intrusioni della politica non sono diminuite e in alcuni casi,come in quello dei Segretari Comunali, sono addirittura accresciute: se si considera il peggioramento qualitativo del ceto politico che contraddistingue la realtà italiana, il mix politici/ Segretari Comunali da questi scelti e ad essi legati come scadenza temporale d’incarico, aiuta a spiegare la povera qualità degli atti, a volte persino ignoranti le vigenti normative, e la crescente rivolta di cittadini ed imprese contro i Comuni (a loro volta vittime di processi legislativi nazionali non più commentabili,in molti casi). Ben altro spessore ha avuto il ripensare la macchina amministrativa in altre realtà, fra tutte richiamando il processo avviato da Al Gore a inizi ’90 negli Stati Uniti, disegnando, condividendo,negoziando e rendendo operativo uno schema tutto teso a migliorare il servizio al cittadino: Gore pubblicò i risultati del lavoro in un testo che diventò best-seller , “Reinventing the Government” (di cui feci dono/auspicio ai nuovi Sindaci italiani di allora,da Sansa a Cacciari,da Rutelli a Orlando).
A fronte della esangue propensione di molti dei Sindaci d’oggi a prendere atto delle resistenze conservative delle macchine burocratiche di loro competenza, resistenze che unitamente alla crisi della finanza pubblica renderebbero il loro incarico mera testimonianza, verrebbe voglia di richiamare alcune citazioni tanto banali quanto umorali in funzione “ricostituente”, da “A brigante,brigante e mezzo” di Pertini a “Quando il gioco si fa duro, sono i duri che cominciano a giocare” di Willer/Belushi. Più seriamente vorrei richiamare gli esangui, locali e nazionali stavolta, a pratiche politiche impattanti come il ‘filibustering’ parlamentare o le campagne radicali, per non citare le esperienze dell’ambientalismo, a partire da Greenpeace, affinchè sia chiaro come risulti possibile ed auspicabile essere davvero “di lotta e di governo” se si vuole incidere realmente in termini di cambiamento di un assetto politico/economico del tutto intollerabile, che Umair Haque definisce da Harvard, assetto “Neofeudale”. Tutto questo per ri-radicare l’assunto secondo il quale non sta scritto da nessuna parte che i buoni debbano sempre perdere contro i cattivi .
So bene che c’è un Paese al ‘primum vivere’ dopo lustri di sistematica spoliazione a partire dai beni comuni e delle proprietà, anche industriali e di servizio, dello Stato. So che occorreranno anni per ricostruire basi morali e culturali di convivenza civile contro il corrompimento, anzitutto spirituale ,posto sistematicamente in essere lungo ormai un nuovo ventennio. So di certo che se si parte intrisi di preventiva rassegnazione, se non si affilano le armi della critica nel merito e della progettualità competente e trasparente, se non si è in grado di fare sentire che c’è sangue nelle vene a persone ormai anestetizzate da un’informazione orwelliana e da nuove tecnologie ‘monadizzanti’ non c’è futuro, ma proprio per la specie: ed è noto che mai mi si è potuto accusare di catastrofismo.
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