Chi si trova giorno dopo giorno a vivere a contatto con il disagio non può fare a meno di interrogarsi sul cercare di capire quale sfida educativa mettere in atto oggi.
Oggi, più che mai, è indispensabile in un rapporto educativo aiutare il giovane a capire l’importanza del prendersi cura di sé, indurlo a sposare quel processo in modo che diventi realmente promozionale e vincente. Per questo negli ultimi anni in Lombardia, grazie anche alle politiche sulla possibilità di scegliere e di conseguenza del libero accesso nelle strutture di cura, molte comunità stanno cercando di accogliere giovanissimi al loro primo inserimento: aggredire il disagio in fretta in modo da lasciare poco tempo perché si radichi nella vita delle persone lasciando segni più in profondità. Abbiamo scelto di correre il rischio, i giovani ti scomodano, ti mettono in crisi, ti lanciano sfide, ti chiedono molto… ma non è forse questo che chiediamo noi a loro? Mettersi in crisi, rischiare, accogliere la sfida, cambiare… e come possiamo chiedere a loro di farlo se noi per primi non siamo disposti a metterci in gioco in questo modo?
Proviamo a stare un po’ con i giovani, accompagniamoli nelle fatiche e nelle sofferenze, andando oltretutto ciò che la nostra coscienza e il nostro sguardo vede, e proviamo a chiederci perché un giovane nell’incontro con l’altro non cambia. Quanti sono stati gli interventi verso di lui ma non con lui… Insegnare all’altro significa anche condividere ed essere coerenti. Quando un giovane vede le tue fatiche, le tue preoccupazioni, il tuo amare la vita e le bellezze del creato, come può rimanere lo stesso?
Per questo continuo ad essere convinto che è prima di tutto il nostro modo di stare con l’altro che deve cambiare. Sfogliavo giorni fa una rivista che raccontava tutti i progressi e le ipotesi che le neuroscienze vogliono portare avanti nella cura alle dipendenze e poi mi guardo intorno. Basta ad eliminare il problema? O serve altro, qualcosa che metta in discussione uno stile di vita, dia valori nuovi e una progettualità diversa?
Stiamo da anni cercando di rivedere i nostri interventi educativi all’interno delle comunità. Si pensa a programmi personalizzati, a corsi di studio, alla loro professione lavorativa, al loro rapporto con i familiari. Si fanno gruppi tematici, percorsi psicologici, ma anche giornate sportive, gruppi musicali, progetti audiovisivi… siamo alla ricerca di risposte che mettono in crisi i nostri script mentali di risposta terapeutica, sconvolgono la nostra linearità di pensiero. Ci serviamo della statistica per capire come stanno e come rispondere in modo appropriato al loro bisogno, ma poi non possiamo esimerci dal guardarli in faccia e prendere per mano ogni singolo giovane… ebbene stiamo faticando, ma, vi chiedo, lasciateci lavorare con loro, i frutti li raccoglieremo nel tempo.
Permettetemi allora di sognare … sogno un mondo dove i giovani inseriti in un cammino di liberazione possano sperimentare stili di vita diversi e ricchi di significato. Sogno che ogni giovane possa prendere in mano seriamente la propria vita e consideri essa come un bene meraviglioso. Sogno che i giovani si prendano l’un l’altro carico dei pesi e delle sofferenze dell’altro e ne condividano gioie e risorse.
Questo mi confidava uno di loro: “Non è detto che tutto ciò che dico lo penso, e ciò che ti dico e penso non è detto che io lo senta”. Questa è oggi la sfida educativa, arrivare al cuore, al mondo emotivo dei giovani che accogliamo, solo così potremo raggiungere un cambiamento (in loro ma anche in noi) e arrivare insieme, tutti, al traguardo.
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