Famiglia

Giornata mondiale contro la droga

di Simone Feder

Anche quest’anno come tutti gli anni il 26 giugno ricorre la giornata mondiale contro le droghe. Quest’anno il mio pensiero va a tutti quei minori che affogano il loro grido di disperazione e la loro voglia di esistere in situazioni sempre più drammatiche e pericolose, spegnendo le loro emozioni e la loro vitalità nell’oblìo delle sostanze.

Mai come negli ultimi anni alla Casa del Giovane di Pavia abbiamo ricevuto richieste di ingresso in comunità da parte di minorenni che già a 14 anni necessitano di essere separati dal loro contesto di appartenenza per affrontare la propria rinascita.

Incontro sempre più famiglie che non sanno cosa fare davanti alle situazioni di vita sempre più preoccupanti dei loro figli. La droga uccide lentamente è l’unica affermazione e la risposta dei ragazzi sembra essere: noi non abbiamo fretta perché non ce ne frega niente di niente.

Allora mi interrogo sul malessere giovanile e sulla pericolosità di alcune affermazioni che si ostinano a voler distinguere e categorizzare la droga tra pesante e leggera, senza alcun fondamento scientifico, sfruttando l’ignoranza delle persone.

Tanti sono i minori che, pur giovanissimi, già necessitano nel percorso di recupero di un’attenzione altamente specialistica (neuropsichiatra, psicologo,infermiere…) e questo è da imputare anche all’effetto sempre più devastante sull’organismo di quelle sostanze cosidette leggere, con alto contenuto di principio attivo, oggi sempre più commercializzate. Se assunte da un organismo ancora in formazione gli effetti possono essere devastanti e in molti casi irreversibili.

Molti sono i giovani che bussano alla porta con motivazioni di recupero pari a zero,  spinti dalle liti continue in casa o obbligati da un decreto dell’autorità.

Quotidianamente molti operatori cercano di far capire a loro l’importanza del cambiamento e della fatica nel conquistarselo, ma è tutto più complicato dalla difficoltà dei giovani ad accettare la necessità di mettere in discussione modalità di comportamento purtroppo già strutturate. Manca in loro la conoscenza di un’alternativa, tanti di loro non sanno chi sono, non hanno mai maturato una proprio personalità e vivono in balìa dei modelli facili che purtroppo la società propone.

Oggi nelle nostre politiche preventive e rieducative è necessario tener conto che il loro percorso di recupero non può essere svolto se non coinvolgendo la loro famiglia. Accogliere un giovane in un contesto comunitario significa prendersi in carico anche tutti i componenti della sua famiglia.

È poi indispensabile offrir loro le possibilità di reinserirsi nel contesto sociale con gli strumenti necessari per farlo. Far loro riprendere gli studi interrotti è parte del progetto che permette di riprendere in mano la propria vita, e allora la presa in carico diventa sempre più complicata e complessa. Complicata perché è faticoso e rischioso inserire in un percorso di studi all’esterno della comunità i giovani perchè non sono pronti; complessa perché significa prendersi in carico dei percorsi interni e creare con la città una rete forte di coesione sociale in cui professori scelgono di dedicare il loro tempo al volontariato, giovani studenti universitari si dedicano all’accompagnamento di questi ragazzi, i loro stessi compagni di cammino mettono in comune con loro le nozioni imparare l’anno precedente…

Per questi e centinaia di altri motivi sento fondamentle oggi richiamare quella giusta e doverosa attenzione politica. Mi preoccupa la scarsa attenzione verso le comunità di recupero: pensare a strutture ad hoc per i giovanissimi significa essere supportati anche da una giusta attenzione politica che capisca prima di tutto ciò che significa una vera presa in carico. Una presa in carico che si spende nel quotidiano, nel concreto, in progetti personalizzati e allargati. Una presa in carico che chiede a tutti di rimboccarsi le maniche.

 

@simonefeder

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