Mentre la maggior parte della gente pensa alle vacanze, alcuni pronti a partire, altri sognando quell’ombrellone che nonostante le fatiche lavorative di un anno rimarrà un miraggio, noi non possiamo permetterci di abbassare la guardia verso l’azzardo e verso la sofferenza che crea.
Sono solo di questa notte le ultime due mail di altrettante persone, e altrettante famiglie di sfondo, disperate che chiedono una mano a cui attaccarsi, un aiuto per uscire da quella palude di sofferenza che li trascina sempre più in basso. Chi si prenderà cura di loro? Chi risponderà alle loro richieste, prima che le sabbie mobili li sommergano, quando le serrande degli uffici saranno abbassate e gli studi dei professionisti del sapere chiusi?
Da anni senza nessun sovvenzionamento stiamo cercando di capire quale risposta dare a questa piaga sociale chiedendoci quale sia il giusto intervento per capire chi è in grado di fornire loro un aiuto reale che non possiamo identificare con una semplice e generica cura. Ma di quale cura stiamo parlando?
Quando li incontriamo e raccogliamo il loro dolore ci chiedono prima di tutto un aiuto nella gestione dei soldi, un consiglio su come agire per fermare quel loro familiare che sta dilapidando tutto il patrimonio, un’assistenza legale. Queste sono le vere esigenze di chi affoga nell’azzardo, attenti quindi a definire quel che si intende o intendiamo oggi per terapia perché mentre ne parliamo non possiamo esimerci dal considerare la sofferenza più profonda di figli, compagni e genitori che stanno attorno a lui. Rispondere alla sofferenza di chi si ammala di azzardo vuol dire prendersi in carico tutto il sistema familiare e amicale che viene da essa colpita. Come si può accettare ancora quelle due parole ‘gioco responsabile’ dopo aver letto anche solo una delle centinaia di richieste, aver ascoltato una delle decine di mamme, aver raccolto una delle migliaia di lacrime che questa terribile male porta con sé? Non è proibizionismo, è coerenza di chi ogni giorno cerca con fatica di stare a contatto con questa triste e assurda realtà.
Da anni, molti volontariamente, hanno cercato di stare in prima linea con lodevole impegno, per affrontare questa realtà, ascoltando, accogliendo e interrogandosi su questo, prima che diventasse ‘allarme generale’, prima che fosse un argomento ‘di moda’, prima che arrivassero le telecamere e con esse i facili finanziamenti per chi da dietro le comode scrivanie promette cure miracolose (spesso sovvenzionate dalla stessa fonte da cui si alimenta l’azzardo, non è paradossale?).
Sento parlare e vengo contestato in questa battaglia per il solo fatto che sostengo che l’azzardo non è un gioco. Non posso permettere di accettare il pensiero che insinua che questo azzardo è un gioco e va insegnato! Chiedetelo ai bambini, il gioco non ammala e non ha bisogno di essere insegnato,il gioco è creatività, gioia. Cosa vuol dire insegnare il “gioco” a Giulio che ieri sera con i suoi 19 anni mi ha chiesto disperatamente di essere aiutato a staccarsi dalla dipendenza dall’azzardo a cui non riesce a scappare trovandolo ovunque online? Quale ‘prevenzione responsabile’ posso fare per lui? Stare con i giovani è l’unica e vera prevenzione, alzare la consapevolezza sull’azzardo e sui suoi rischi perchè così facendo loro lo insegneranno ai loro pari. La prevenzione oggi va fatta nella rete (internet) con tempestività e coerenza.
E allora dico a voi cari politici, voi amministratori, voi che valutate e finanziate e finanzierete: interrogatevi, non è forse il caso di ascoltare chi giorno dopo giorno si sporca le mani?
Noi non ci fermeremo, andremo avanti, con l’aiuto dei giovani e dei tanti insegnanti, uomini e donne che per primi credono in questa battaglia che riguarda loro, i loro familiari, il loro futuro!
Nella favela a Rio il Papa aveva le lacrime agli occhi per la commozione, penso che chi si occupa di sofferenza non può non vivere questi sentimenti.
La sofferenza non ha bisogno di ricette preconfenzionate né di risposte teoriche. La sofferenza non va in vacanza! Non dimentichiamolo!
@simonefeder
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