Il paradosso continua. Nel momento in cui appariva massima la distanza tra politica e realtà sociali, tra partiti e società civile, tra Casta – anzi Caste – e cittadini, tanto da produrre anche un pericoloso sentimento qualunquistico di massa, con relative traduzioni organizzate (Grillo in primis), arriva un’inaspettata e inedita apertura di credito da parte del variegato mondo del non profit.
Con un vero e proprio “esodo” dai suoi vertici in direzione delle liste elettorali (fenomeno che abbiamo già recentemente analizzato). E con pressoché quotidiani appelli a partiti e candidati promossi da network tematici e coordinamenti di gruppi.
Appelli di cui non è immediato comprendere le aspettative, non fosse altro perché storicamente non risulta che le promesse elettorali abbiano mai avuto un seguito e comportamenti effettivamente conseguenti.
Eppure, anche a questa tornata spuntano come funghi le lettere aperte al candidato e le raccomandazioni alla Lista, forse facilitate dalla inconsistenza, genericità e interscambiabilità del programmi diffusi dalle forze politiche impegnate nella competizione elettorale (vedi qui)
L’appello fresco di giornata arriva da un gruppo di ONG che propongono a leader politici e candidati un impegno in dieci punti per garantire il futuro della cooperazione internazionale allo sviluppo e invitano a discuterne faccia a faccia il prossimo 6 febbraio. Dove? Nella Sala conferenze di Montecitorio, naturalmente.
Ieri era stata la volta di un neonato cartello di associazioni, che hanno richiesto ai candidati attenzioni per le sorti del servizio civile, sottoposto a costanti difficoltà e a risorse calanti.
L’altro ieri era stata l’ASGI, l’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, a indirizzare ai candidati un decalogo che condensa le linee di una necessaria riforma in materia, tesa a effettive possibilità di integrazione e di cittadinanza. Il documento sarà presentato ai candidati in un momento pubblico a Milano il 2 febbraio nella sede di “Terre di mezzo”.
Anche sui versanti dell’ecologia e dell’ambiente è arrivata una forte sollecitazione con la sottoposizione ai candidati di un’Agenda di priorità, fissata, in questo caso, in 12 punti e promossa dalle sigle più robuste e rappresentative (WWF, Legambiente, Greenpeace, Fondo ambiente italiano, Federazione nazionale Pro Natura, Club alpino italiano e Touring Club) in un inedito “Cartello verde” che ha trovato rilievo sulle pagine di Repubblica (leggi qui).
La propensione all’appello non riguarda peraltro solo lo scenario nazionale ma anche quello locale. È sempre di oggi l’esternazione di don Colmegna che detta le priorità a chi governerà prossimamente la Lombardia, a partire dalla necessità di unire l’assistenza sociale a quella sanitaria e di riportare l’assistenza psichiatrica sul territorio (leggi qui).
Non si conoscono, al momento, reazioni e gradi di interesse dei partiti, mentre è facile immaginare che adesioni verranno dai singoli candidati, sia perché genuinamente interessati ai temi sociali proposti o poiché addirittura già impegnati in tal senso, sia perché, sotto elezioni, una promessa non costa assolutamente niente e raramente nel corso della legislatura ne viene adeguatamente chiesto conto.
L’unica risposta di rilievo è arrivata a uno degli appelli meno scontato, non fosse altro per l’originalità dell’esperienza proponente, vale a dire “L’isola dei cassaintegrati”, che ha rivolto una lettera aperta sul drammatico problema degli esodati – lasciato insoluto dalla riforma Fornero definita, con molte ragioni, «iniqua e ingiusta» –, chiedendo l’impegno a che venga affrontato dal prossimo governo entro i primi 100 giorni. Il leader del PD Pierluigi Bersani, ha prontamente assicurato attraverso un tweet, com’è ora di moda, che «la posizione del PD è chiara: per noi non deve restare senza copertura nemmeno un esodato» (leggi qui).
A scanso di malintesi vogliamo dirlo chiaramente: l’insieme delle richieste e proposte avanzate da queste reti sono fondate, argomentate, condivisibili, urgenti e meritori sono gli appelli e le iniziative di questi giorni. Dunque ben venga l’occasione elettorale se può servire a comunicarne maggiormente la necessità e a dare visibilità alle organizzazioni e, complessivamente, al non profit e ai movimenti che nel resto dell’anno portano faticosamente avanti gli stessi obiettivi e analisi, in una plateale e colposa indifferenza delle forze politiche e in particolare di quelle con responsabilità di governo.
Il dubbio, in questo caso, è un altro: è se chiedere una promessa o sia pure un pubblico impegno, al di là della buona fede e buona volontà di chi quell’impegno esprimerà, non rinvii una visione irrealistica e semplificata della attività parlamentare e di governo e in definitiva non serva ad altro che a mettere facili medaglie sulla giacca del candidato. Giacché, e non da oggi, la volontà del singolo parlamentare è totalmente ininfluente rispetto alle dinamiche di verticalizzazione della decisione (basti pensare all’abuso incontinente della decretazione d’urgenza cui nemmeno si oppone il capo dello Stato o alla costante imposizione della fiducia) e all’avvenuto restringimento degli spazi reali di democrazia e anche di sovranità nazionale (basti pensare alle pesanti riforme imposte dalla BCE con la lettera “segreta” dell’agosto 2011) . Le sorti delle proposte legislative sono infatti definite a priori in sede di calendarizzazione, di organizzazione dei lavori delle Commissioni e nelle conferenze dei capigruppo. Al deputato rimarrà solo da schiacciare il pulsante seguendo le indicazioni del proprio gruppo parlamentare o, evenienza più unica che rara, in dissenso da esso. O da depositare proprie proposte legislative che, se non condivise dai vertici del proprio partito o gruppo, rimarranno agli atti come mera testimonianza personale.
Lo dice onestamente uno che se ne intende, sia di sociale sia di politica, Savino Pezzotta, intervistato da Stefano Arduini per “Vita”: «Delegare tutto ai politici, anche se provenienti dal nostro mondo, non produce risultati». A mo’ di esempio, l’ex segretario generale della CISL e parlamentare uscente ricorda: «Ero in prima fila nella battaglia contro gli F35. Ma al momento di decidere ci siamo ritrovati in 25 parlamentari contro 600» (leggi qui).
Allora, poche illusioni: nonostante la nutrita pattuglia di attivisti del non profit che auspicabilmente entrerà nelle Camere a febbraio, la sorte dei “nostri” temi rimarrà per lo più consegnata alla capacità di sensibilizzazione, mobilitazione e di pressione sociale che movimenti e associazioni saranno capaci di portare avanti, anzitutto sui territori e nella società.
Da questo punto di vista, il dato positivo che emerge in questi giorni è che la scadenza elettorale sembra spingere le singole organizzazioni a fare rete, a condividere momenti di coordinamento e di proposta comune. Il che è tanto più positivo per un mondo, quale quello del non profit, troppo spesso frastagliato e tradizionalmente incline a coltivare ciascuno il proprio orticello e a piantare la propria importante ma piccola bandiera o, addirittura, spinto dalla penuria delle risorse e dai tagli, ad autolesionistiche “guerre tra poveri”.
Senza unione delle forze, senza coordinamento delle intelligenze e delle iniziative, infatti, problematiche di per sé difficili perché normalmente confliggenti con gli interessi dei gruppi di potere (basti pensare alle lobbies degli armamenti o a quelle del nucleare o quelle della TAV e, in generale, della privatizzazione dei beni comuni) si rivelerebbero insormontabili.
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