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Addio a Margara. Non mollare

di Sergio Segio


«Mentre scontavo la mia pena molte volte ho ripetuto ai compagni di cella che gli uomini politici i quali in passato avevano assaggiata la galera, portavano la grave responsabilità dell’ordinamento carcerario esistente, indegno di un popolo civile, perché, tornati in libertà, non avevano illuminata l’opinione pubblica sul problema e non avevano mai preso seriamente a cuore la sorte dei detenuti».
Ernesto Rossi in una lettera a Piero Calamandrei, “Il Ponte”, marzo 1949

 

Da questo agosto 2016 il popolo delle carceri è ancora più solo. Con Sandro Margara, entrato in magistratura nel 1958, scompare una delle figure più preparate e, al tempo stesso, umanamente coinvolte nel pianeta separato e negletto delle prigioni.

Margara è stato uno degli artefici più professionalmente attrezzati e determinati delle – non moltissime, e spesso disapplicate, ma certo non per limiti o responsabilità sue – conquiste di civiltà che negli ultimi quarant’anni si sono faticosamente affermate nei codici e nei regolamenti penitenziari. Prima da magistrato di sorveglianza, poi da consulente e collaboratore dei – di nuovo, non moltissimi – politici, o tecnici prestati alla politica, che hanno provato nell’impresa titanica di riformare le carceri. In seguito, nel 1997, persino da Direttore dell’amministrazione penitenziaria, non per caso e assai prevedibilmente rimosso dopo soli due anni da uno dei rari Guardasigilli provenienti dalla sinistra, ma uno dei più solleciti nell’assecondare richieste e umori forcaioli dei potenti sindacati della polizia penitenziaria, i quali ben presto pretesero la testa di Margara. Infine, da Garante dei diritti dei detenuti della Regione Toscana. Un ruolo, questo, di nessun potere, ma probabilmente quello più vicino alla sua cultura e ai suoi sentimenti. Del resto, per avere potere occorre se non amarlo almeno rincorrerlo, il che è stato quanto di più distante dalla sua sensibilità e lunga esperienza.

Non sorprendono dunque le assenze istituzionali al suo funerale, celebrato a Firenze lunedì 1° agosto. Così come non può stupire, all’opposto, la profonda stima e vorrei dire l’affetto che gli è sempre stato riconosciuto non solo dai reclusi ma da una più ampia comunità di persone e di competenze che ruotano attorno al mondo delle carceri e a quello più vasto degli “ultimi”; che sono poi quelli che in massima parte nelle galere finiscono, trattati da scorie sociali.

Un popolo di dannati già recentemente colpito dalla morte di un altro appassionato nuotatore controcorrente: Marco Pannella.

Due figure assai diverse: convintamente laico e prorompente il primo, cattolico praticante e decisamente schivo il secondo. Eppure rese simili dalla passione civile e dal rigore morale da tutti loro riconosciuto, anche se da non moltissimi conosciuto per quanto riguarda Margara. Basta provare a cercare una sua immagine sul web per rendersi conto di quanto poco la sua straordinaria competenza ed esperienza fossero state, se non valorizzate, almeno registrate da un sistema mediatico – lui sì – innamorato del potere e pronto a inchinarvisi.

In tempi di imperante paradigma vittimario – per dirla con lo storico Giovanni De Luna – Alessandro Margara osò incrinarne un caposaldo, affermando: «Il carcere crea innocenza, trasformando anche il colpevole in vittima». Un concetto tanto vero e “sovversivo” quanto indigeribile per una pubblica opinione sapientemente educata da decenni a risentimenti e pratiche di vendetta sociale.

In modo diverso, da Radicale e da Presidente dell’associazione Nessuno Tocchi Caino, anche Pannella ha tenacemente provato a smontare le culture vendicative che riempiono le carceri e incrudeliscono le pene, sino all’abominio dell’ergastolo e del 41bis. E proprio oggi l’associazione umanitaria, dal nome biblico e programmatico, presenta il suo nuovo Rapporto che, come ogni anno, censisce e documenta la drammatica realtà delle esecuzioni capitali nel mondo e che, con questa edizione, ha voluto conferire un Premio alla memoria proprio alla figura di Pannella e al suo storico impegno anche nel Progetto “Spes contra spem”, per porre fine non solo alla pena di morte, ma anche alla pena fino alla morte.

La speranza contro ogni speranza, dunque, è un lascito che ci viene da queste due figure, così simili e così diverse. La coerenza e lo spirito riformatore di Margara gli sono costati retrocessioni professionali, contrasti e impedimenti da parte della politica e dello stesso ambito della magistratura. Li ha sempre affrontati con la serenità del giusto. Come ha scritto oggi nel ricordarlo Franco Corleone (che, da sottosegretario alla Giustizia, con Margara nel 2000 ha voluto e varato il nuovo e più avanzato Regolamento penitenziario), «le disillusioni che ha vissuto, lungi da piegarlo, hanno semmai rafforzato la limpidezza del suo pensiero e delle sue scelte politiche. Tocca a noi essere alla sua altezza e non mollare».

Anche se più soli, non possiamo mollare e non molleremo.

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