C’è chi dice che la finanza sia generativa.
Che l’elemento decisivo per la competitività consista nell’attrarre una dose massiccia di finanza, che sia la condizione necessaria e sufficiente, quella capace di spiazzare la concorrenza, e di affermarsi sul mercato producendo valore.
Se si guarda alla storia del capitalismo italiano, osservando un arco temporale di almeno 30 anni, è facile vedere come la finanza abbia prodotto valore nel momento in cui si è legata ad un valore aggiunto (pensate al made in Italy, al manifatturiero, all’agroalimentare, …). Il valore che in questi 4 anni si è bruciato in borsa, a mio avviso, è stato in parte un processo di normalizzazione degli asset, che scontava un moltiplicatore diverso da quello del passato e un ruolo meno amplificato della finanza nell’essere “lievito” all’interno dei meccanismi di produzione del valore.
Insomma, la finanza genera valore quando si lega ad un altro valore (da cui dipende); disarticolata dal suo fine invece, nel tempo, finisce per bruciare molto piú di quello che ha prodotto (come la storia di questi anni ha certificato).
Perché questa premessa? Perché il tema della finanza generativa oggi è diventato (e questo è un aspetto di crescita ed evoluzione del settore) un “main topic” del dibattito sull’impresa sociale, quella tipologia d’impresa che nel suo DNA porta due “peccati originali” agli occhi degli investitori mainstream: non distribuisce dividendi (tutto l’utile viene reinvestito) e ha un patrimonio indisponibile/indivisibile.
Ma perché questo tema è arrivato alle porte dell’impresa sociale? Perché non focalizzarsi solo su tipologie giuridiche già esistenti che permettono di agire in tutti i settori del sociale, come le Srl e le Spa? Sono già numerosissime le imprese for profit che gestiscono asili, scuole, strutture residenziali, centri diurni, poliambulatori, ecc. (oltre 500.000 sono le imprese in Italia che operano nei settori ad alta vocazione non profit o sociale).
Cosa sta accadendo. La forbice, la distanza, lo spazio fra Mercato e Stato si sta allargando, lasciando spazio ad una landa estesa, una Terra di Mezzo popolatada una pluralità di soggetti mutualistici, associativi, fondazionali, for profit che si contendono uno spazio, quello dell’’imprenditorialità sociale.
Da una parte abbiamo il “for profit” che cerca di conquistare il centro del campo spostandosi in settori nuovi (sociali) con l’obiettivo di generare impatto sociale e dall’altra il “non profit” che diventa sempre più produttivo, market oriented, alla ricerca di risorse e competenze di management. Al centro di questa Terra di Mezzo, ad attendere queste due forze centripete, c’è la cooperazione sociale: un modello d’impresa che, senza generare trade off fra ricchezza e equità, produce valore aggiunto (occupati e fatturato), sotto un vincolo economico e con finalità pubbliche.
Questa Terra di Mezzo, in tutte le sue componenti, oggi è una grandissima opportunità sia per il Mercato che per lo Stato. È un’opportunità perché esprime un pluralismo e perché produce valore ricombinando in modo diverso la dimesione economica e quella sociale, offrendo cosí la possibilità ai cittadini di aumentare lo spettro delle proprie scelte e di “votare con il portafoglio”.
In questa Terra di Mezzo però, proveniente dalla zona tradizionalmente presidiata dalle imprese for profit, si avvicina un nuovo soggetto: la finanza.
Un recente articolo di Forbes stimava al 2020 la produzione di 27 trilioni di $ di aumento di PIL, capace di auto-generare asset pari a 300 trilioni di $ (dati OCSE). L’articolo concludeva chiedendosi quali saranno gli ambiti scelti da questa marea di risorse, immaginando anche il sociale come possibile settore su cui diversificare.
Concludo. Credo che la finanza sia per la nuova impresa sociale un asset da includere nel processo di produzione del valore sociale e per questo, penso che si debba trovare la modalità più adeguata, per attrarre la fiducia di investitori pazienti e di soci finanziatori, così come accade già per la cooperazione sociale. Credo anche che la finanza non sia un meccanismo generativo dell’impresa sociale, non da solo; senza il valore di legame ( il 68% delle imprese sociali nasce da relazioni) per quelle imprese sociali inclusive, quelle che legano il valore alla comunità e non lo estraggono, per quelle imprese che governano con gli stakeholder...nulla accadrebbe.
L’avvento della finanza (filantropica e non) sarà una bella notizia per la Terra di Mezzo, se gli abitanti che la popolano sapranno legarla al valore aggiunto che producono e per il quale han deciso di rischiare.
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