Disarticolare per ri-aggregare.

di Paolo Venturi

In occasione del #WIS14  di Iris Network, mi è stato chiesto di coordinare una sessione che stimolasse riflessioni intorno a questo interrogativo “Chi aggrega la domanda di welfare? ”  Il dibattito sull’impresa sociale e il ddl di riforma del Terzo Settore hanno polarizzato molto il dibattito sul lato dell’offerta di servizi,  ma senza una visione e una strategia su come aggregare e orientare la domanda qualsiasi disegno di riforma risulterebbe inefficace.. Ho pensato perciò di condividere “la paginetta” (ammetto un po’ “pesa” per i non addetti ai lavori…)  che ho inviato agli organizzatori del #WIS14  per aprire un dibattito nel quale occorrerà immettere dosi massicce di innovazione sociale, per riuscire a disarticolare la rigida e iniqua  infrastruttura sociale esistente e riformarla secondo logiche nuove,  dove la domanda (oggi sempre più pagante) non è lasciata sola, ma  è stimolata a socializzare i propri bisogni,  orientando e valutando un’offerta sempre più plurale  

”  7-25-50. Attraverso questi tre numeri  è possibile sintetizzare la premessa che sta alla base delle future scelte in materia di spesa in ambito di servizi sociali a livello europeo. L’ Europa ha, infatti, il 7% della popolazione mondiale, contribuisce al 25% del Pil,e  ha una spesa sociale pari al 50% della spesa di welfare a livello globale.

 Le spinte al cambiamento in atto all’interno dei modelli di welfare europei sono sostanzialmente di duplice derivazione: da un lato, la strutturale riduzione della spesa pubblica e la conseguente difficoltà in aumento nel dare risposte attraverso erogazioni monetarie centralizzate, che ha fatto emergere in pochi anni l’inadeguatezza dei tradizionali sistemi di welfare, incentrati maggiormente su erogazioni monetarie (pensioni, sussidi vari, redditi di cittadinanza, ecc.) piuttosto che sull’offerta di servizi; dall’altro, la crescente differenziazione dei bisogni (a tutti i livelli: per generi, ambiti territoriali, ecc.) che ha reso via via sempre più inefficaci le risposte standardizzate offerte dalle pubbliche amministrazioni (Venturi, Villani, 2011).

 Per dare risposta all’esigenza di riforma conseguente al break strutturale socio-economico che stiamo vivendo e con l’intento di tenere insieme la dimensione di competitività e di crescita economica con il sostegno dei diritti e della solidarietà sociale, l’Europa sembra convergere sulla scelta, in termini di policy, di coinvolgere nel campo del welfare anche soggetti privati for profit, di Terzo settore ed imprese sociali, costruendo partnership e modelli di welfare che prevedono un mix tra di loro.

 A fronte di questa rilettura e rimodulazione dei sistemi di welfare europei, emergono due tratti comuni a più paesi (Orlandini, 2013):

1     la pluralizzazione degli attori: la costruzione di un nuovo welfare necessita dell’azione congiunta e condivisa di diverse tipologie di attori: Pubblica Amministrazione, Terzo settore e imprese for profit.

2     un maggior potere alla domanda, con tutto quel che ne deriva, ovvero: una sempre maggior compartecipazione alle spese da parte degli utenti, la loro corresponsabilizzazione nel mantenimento di stili di vita sani, la separazione tra compratori di servizi ed erogatori degli stessi, la partecipazione delle imprese all’assicurazione sanitaria complementare.

Oltre ad evidenti opportunità, tuttavia, un ampliamento di capacità di azione dal lato della domanda di servizi di natura sociale porta con sé il rischio di una maggiore richiesta in termini di compartecipazione alle spese e, di conseguenza, che la domanda stessa venga isolata e subisca il costo di asimmetrie informative del sistema.

 Ciò porta con sé un ulteriore rischio, ovvero quello della preferenza di un modello di offerta di servizi di welfare garante, unicamente, di un vantaggio in termini economici (riduzione dei costi) a discapito di un sistema di offerta comunitario che fa degli elementi qualitativi la sua discriminante.

 Per confutare questa deriva, obiettivo prioritario nella costruzione di un nuovo modello di welfare a matrice comunitaria deve essere quello di generare le condizioni per una società del benessere che, come sottolineato anche da Istat e Cnel (2012), sia caratterizzata non solo da benessere economico, ma anche da relazioni sociali (intese come accrescimento dei livelli di capitale sociale sul territorio) e qualità dei servizi offerti (in ambito sanitario e socio-sanitario, piuttosto che in materia di gestione dei rifiuti, dei trasporti e di risorse idriche) (Venturi, Rago, 2012).

Oggi, infatti, la necessità più stringente al fine di sviluppare le fondamenta di un welfare di comunità è quella di individuare e potenziare i meccanismi per la costruzione di relazioni tra la pluralità di attori in campo. Ciò implica un superamento della logica che vede una divisione netta dei ruoli a fronte della necessità di garantire servizi di natura sociale ad una quanto più ampia platea di cittadini.

 Una nuova frontiera dell’innovazione sociale, quindi, sta nel favorire la nascita di contesti e strumenti collettivi capaci di rendere più efficiente la spesa e dall’altro di costruire nuovi modelli di coesione sociale basati su scelte collettive che mutualizzano i bisogni e ne condividono le soluzioni. Si pensi, ad esempio, alla tendenza in atto oggi nel panorama della mutualità e della cooperazione relativa ad un sempre più marcato orientamento ad organizzare gli attori operanti in ambito sanitario e socio-sanitario, ovvero mutue sanitarie integrative e cooperative sociali (principalmente di tipo A), nonché imprese cooperative (ad esempio, di medici), in progetti intersettoriali in grado di collegare la domanda e l’offerta dei servizi in tali ambiti.

Più in generale, è possibile affermare che l’impresa sociale ha in sé sia la capacità di costruire una nuova offerta, ma anche la capacità di aggregare e orientare la domanda (buy social). Oggi, infatti, il mutualismo sta conoscendo nuovo risorgimento. Non più solamente rivolto ai soci, ma aperto alla comunità di riferimento. “

..  il dibattito è aperto!

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